Carlo, rimembri ancora
quel tempo della tua vita al mondiale,
quando beltà splendea
ne’ baffi tuoi ridenti e fuggitivi,
e tu, lieto e pensoso, l’inimitabile
giovincello assistevi?
Sonavan le sale
stampa, e le piste intorno,
al tuo perpetuo canto,
allor che all'Honda di Valentin’ intento
sedevi, assai contento
di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
così menare il giorno.
Io le scuse penose
talor lasciando e le sessioni in pista,
ove il tempo mio primo
e di me si spendea la miglior parte,
d’in su i maroni del paterno uccello
porgea gli orecchi al suon della tua voce,
ed alla moto veloce
che percorrea la vorticosa ascesa.
Mirava il gran pilota
le vie di fuga e i prati,
e quinci l’Ufficiale da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
quel ch’io sentiva in seno.
Che pensieri soavi,
che speranze, che cori, o Carlo mio!
Quale allor ci apparia
la vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
un affetto mi preme
acerbo e sconsolato,
e tornami a doler di mia sventura.
O Kanazawa, o Nakajima,
perché non rendi poi
quel che prometti allor? perché di tanto
inganni i figli tuoi?
Tu pria che l’pupo centrasse il terno,
lasciato fosti e la battaglia vinta,
perdesti, o tenerello. E non vedevi
il fior degli anni tuoi;
non ti molceva il core
la dolce lode or delle lunghe penne,
or delle curve in derapata e fumo;
né teco gli ingegneri ai dì festivi
ragionavan di motore.
Anche perìa fra poco
la speranza mia dolce: negli anni miei
la deste a Barros coi dati
la moto repsol. Ahi come,
come fregato sei,
caro compagno dell’età mia nova,
mia lacrimata speme!
Questo è il mondiale? questi
i diletti, l’Honda, l’HRC, gli interventi,
onde cotanto ragionammo insieme?
questa la sorte delle umane genti?
All’fuggir del Vale
tu, misero, cadesti: e con la mano
l’amara sorte e la bomba di Iwata
mostravi di lontano.
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