Jorge, dottore dell’anima
LORENZO «Studio psicologia per capire gli altri e me stesso, solo così si cresce»
«Anche io ho più personalità, bisogna saper usare quella giusta al momento giusto». Ecco perché ha il n° 99 in bianco e rosso: angelo e diavolo «Per il futuro sono ottimista: più facile far diventare calcolatore un pilota aggressivo che viceversa. I soldi? Io ragiono ancora da povero»
NOSTRO INVIATO
GIORGIO PASINI
MOTEGI. Piantando la sua bandiera in Giappone ha mandato in frantumi gli equilibri del Mondiale, che viveva sul duello Rossi-Stoner, e quelli del team Yamaha. Adesso tutti devono confrontarsi con lui, Valentino per primo. Ma dopo aver fatto il diavolo in pista, Jorge Lorenzo si presenta con una faccia da angelo. Come il suo nuovo numero, il 99 metà rosso e metà bianco. Un altro Lorenzo. Quello che vuole sempre vincere, ma ha capito che non può farlo sempre Por Fuera (da fuori, all’esterno), il suo marchio. Deve partire “da dentro”. Un percorso che ci indica aprendo il cuore.
Jorge, è vero che ha due personalità?
«Sì, come tutti. C’è chi ne ha tre o quattro. D’altronde non ti comporti allo stesso modo con la nonna e gli amici. E anche se parliamo del bene e del male, nessuno è solo buono o solo cattivo ».
Lei è più angelo o diavolo?
«Diciamo che sto imparando quando essere cattivo e quando invece essere buono».
Per questo legge libri di psicologia?
«Mi servono per imparare che non c’è mai solo un punto di vista, il tuo. A volte quello degli altri è migliore. E’ importante avere la mente aperta».
Jorge, da piccolo com’era?
«Molto creativo. Una creatività che mettevo nel disegnare. A setto-otto anni facevo le caricature ai compagni di scuola. Le vendevo per comprare le caramelle. Cento pesetas, mezzo euro».
E il Lorenzo di ora com’è?
«E’ rimasto molto creativo, ma uso quella creatività per ideare i disegni del casco, il numero, i fumetti. E sono una persona molto curiosa e competitiva. Serve per il mio lavoro, ma a volte esagero e devo frenarmi un po’».
E vero che i meccanici dell’Aprilia le nascosero la moto perché non salutava?
«Sì. Ero molto timido e introverso. Come mio padre, la persona che mi ha messo in moto, la mia figura di riferimento. Nel bene e nel male. Ma sono molto cambiato».
Per questo ha messo sulla Yamaha un adesivo con la crescita da bambino a pilota?
«Sì, come l’evoluzione della specie di Darwin. Nella prima idea alla fine c’era un uomo chinato sul computer. Il destino dell’umanità: fa fatica a mettersi in piedi per poi ripiegarsi, tornare indietro. Invece ci ho messo me stesso, perché io voglio crescere. Sempre».
Vince e piace, però nei box ha fama di antipatico.
«Non conta come sei realmente, ma come ti vede la gente. Io ho provato a cambiare, anzi, sono cambiato. Ma è difficile cambiare l’idea che le persone si sono fatte di te. Però ho capito che la vita è una sola e devi viverla come ti piace, senza preoccuparti troppo di quello che pensano gli altri».
Dicono che è maturato anche in pista: resta un pilota Por Fuera?
«Quel soprannome è nato dopo la mia prima vittoria in Brasile nel 2003 con un sorpasso folle all’esterno. Allora ero un po’ matto e azzardavo quelle manovre. Una barbarità. Ora con queste moto è impossibile».
L’anno scorso all’esordio in MotoGP ci ha provato...
«Sì, ma Por Fuera della pista...
».
Dopo tante cadute ha ammesso d’aver paura. Schwantz diceva: per staccare aspetto che il panico prenda il sopravvento. Lei?
«Ragiono. Da fuori sembro molto impulsivo, ma la verità è che sono molto analitico. Forse troppo. L’anno scorso ho sbagliato a voler fare più di quello che potevo. All’inizio tutto funzionava: pole, podi, la prima vittoria. Poi le cose si sono complicate ».
Dove vuol migliorare?
«Nella gestione delle gare. Ma è più facile fare di un pilota aggressivo come me uno un po’ più calcolatore, che di un pilota calmo uno più aggressivo. Quando avrò trovato il giusto equilibrio sarò più forte».
Vincerà il Mondiale?
«Quest’anno sarà molto complicato andare più forte di Stoner e Vale, ma troverò la regolarità che m’è mancata».
Domenica Vale e Stoner li ha battuti no?
«Un Gran Premio non è il Mondiale. Rossi è il pilota più forte di sempre e ha dieci anni d’esperienza in questa categoria, Stoner è un talento fuori dal comune e ne ha due più di me. La verità è che siamo in un’epoca di grande talento e un terzo posto vale come una vittoria di qualche anno fa».
Eppure parlano di valori appiattiti.
«Errore. Pensate a Criville. Ha vinto, ma non c’era Doohan...».
Si considera di più l’antiRossi o il futuro-Rossi?
«Né l’uno né l’altro. Lui ha la sua personalità e il suo modo di guidare. Io un’altra».
La verità: non vedete l’ora o avete paura che smetta?
«Preferisco che Vale resti. Vincere contro il più duro da battere dà più soddisfazione. Nessuno può dire che hai vinto perché non c’era il migliore».
Quindi vuol batterlo?
«Ci sto provando».
Perché non ha ancora rinnovato il contratto con la Yamaha?
«Abbiamo appena fatto due gare, non è il momento di pensare al prossimo anno».
Il muro tra lei e Vale influirà sulla decisione?
«No. E’ una cosa sulla quale s’è data troppa importanza».
Pensa di avere le stesse chance di battere Vale all’interno della stessa squadra?
«Ho le stesse armi. O se non le stesse il 99%. Non è un problema tecnico».
Di soldi?
«A me non interessano tanto. Io ragiono ancora da povero. Non ne spendo molti, ho paura di fare la fine di troppi sportivi che dilapidano i guadagni. E non mi dà felicità comprare una Ferrari, la trovo in altro».
Dedicarsi al teatro?
«Frequentavo un corso di recitazione. Mi divertivo e mi serviva per l’espressività. Ma ho deciso di concentrarmi sulla mia carriera sportiva. Nel poco tempo libero faccio thai boxe. Rafforzo fisico e mente».
E’ vero che nelle moto ci sono le groupies come per le rock star?
«Sì, più o meno sì».
E lei si diverte?
«Prima sì. Ora sono molto concentrato. E non m’interessa essere uno che cambia ragazze in continuazione. Mi piacerebbe conoscerne una brava e avere una relazione stabile. Ma con la vita che faccio è difficile».
Se non avesse fatto il pilota sarebbe diventato pittore o attore?
«Non so, magari postino o meccanico. L’importante è capire il tuo talento. C’è troppa gente con molto talento, ma che non ha capito dove sta e fa un lavoro normale che non gli piace. Io sono stato fortunato: papà ha scoperto il mio per la moto».
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