Spenti i riflettori, chiusi giochi e battenti, serrate le porte e stipate le casse buttando via la chiave, almeno per quest’anno, si ritorna al grigiore di un inverno senza aurore polari.
Finite le scariche di adrenalina, i pronostici e la tensione, finite le speranze e le attese, si ritorna a ragionare con calma, a tirare le somme. Compito ingrato spesso relegato ad impiegatucci Ortisiani e inerziali, ma che almeno una volta vale la pena di fare.
Come una sorta di autunno in arrivo, che seda gli animi e riporta tutti con i piedi per terra. Con i ricordi ancora caldi di un’estate incandescente, e con tanti buoni propositi per l’anno a venire. Ma con l’amarezza che accompagna sempre la Fine…delle cose, delle emozioni, dei film. Quello strano sentimento che assale l’uomo ogni volta che veda sullo schermo della sua vita comparire le parole The End…si accendono le luci… e, con una lieve musica di sottofondo a monito della visione conclusa, ecco che bruscamente viene catapultato nella sua vera dimensione, senza camera di decompressione…con un soffio di rammarico, un sottile sconcerto, e un pizzico di tollerata rassegnazione.
La quiete dopo la tempesta.
Chiedersi cosa sia successo in questa stagione sarebbe errato, meglio domandarsi, invece, cosa
non è successo. Storie avvincenti di maghi e di streghe, di draghi e di fate, di cavalieri e di mercenari, ma anche di incantesimi e di spade, taglienti, di cuore e di mente. E poi pozioni magiche e filtri d’amore che hanno attirato l’attenzione dei “bambini” meno attenti, più disinteressati, più profani.
Basta gettare un’occhiata agli ascolti di Valencia….Magia, anche questa.
Tempo fa, quando ancora (follemente!
) studiavo greco, la cosa che mi lasciava più perplessa era il fatto che in ogni cosa, da ogni parte, ci fosse una norma onnipresente… quella che afferma: “c’è sempre l’eccezione che conferma la regola”. Ed era una cosa destabilizzante allora, posso garantirlo. Sapere a priori che ciò che si studia, come ciò che si pensa, è sempre soggetto a un qualcosa che “smonta” i vostri piani è terribile. Ma poi ci si fa l’abitudine. E si impara ad usare le antenne.
A pensare che il finale non è mai scontato, a convivere con il fatto che le apparenze ingannano, e a credere che i sogni, qualche volta, possano diventare realtà.
Come il migliore dei film o il racconto più intrigante, le sfaccettature della favola di quest’anno hanno seguito la norma di cui sopra e hanno sortito lo stesso effetto. Il finale che molti speravano, ma su cui pochi, pochissimi avrebbero scommesso una lira (mi setto ai giorni nostri, un centesimo – che è di più, lo so, ma si considera anche l’inflazione!
-).
Destabilizzando proprio coloro che vivevano di certezze perenni. Facendo saltare le coronarie proprio a quella casa alata che aveva ripudiato il suo figlio preferito e smarrire l’autostima proprio a quei Biaggi e Gibernau che, impavidi e sprezzanti del pericolo dall’alto del loro purosangue invincibile, erano partiti sbraitando come muezzin che è la moto a decretare la vittoria, non il pilota.
Mi viene da pensare che costoro non abbiano studiato greco.
Ma la Fiaba di quest’anno è stata avvincente perché ha avuto un espediente in più. Quel quid schopenhaueriano dell’alienazione davanti all’opera d’arte. Quella contemplazione del capolavoro che “scolla” lo spettatore dalla sua realtà e lo catapulta “all’interno” dell’opera d’arte stessa. Regalandogli le medesime emozioni, facendogliele provare sulla sua pelle…
Alzi la mano chi, almeno una volta quest’anno, non abbia gioito per una vittoria di Valentino come se fosse stata sua, non si sia disperato per una caduta come se il dolore l’avesse provato su di sé, chi non abbia accennato, magari comodamente seduto sulla poltrona di casa, un sorpasso, una piega, una scia, una staccata, chi non abbia provato delusione per essere stato sverniciato in rettilineo e vendicativa rivincita per aver di nuovo riconquistato la propria posizione alla prima curva…
Vi devo risvegliare, ragazzi, mi dispiace. Ritornate comodamente seduti sulla vostra poltrona (mentre magari qualcuno passa davanti alla tv proprio sul testa a testa finale!).
Brividi. Questo ha regalato la motogp di quest’anno. Brividi e tensione, rischio, instabilità, volontà di superare i limiti imposti, prestabiliti, scontati. Fin troppo scontati.
Ma anche divertimento, vivacità, passione per lo scontro diretto, la sfida….perché in fondo, ognuno di noi contemplava la possibilità (che man mano è diventata certezza) che il nostro idolo (ma che definirei il nostro alter-ego) ce l’avrebbe fatta.
E così è stato.
Mai monotonia, mai noia, mai ovvietà.
Il brivido di un’eterna scommessa.
Vinta.
E’ stata una fortuna vedere il campionato di quest’anno. Vedere come la passione dell’uomo sia in grado di superare la fredda tecnica della macchina, come spesso un briciolo di incoscienza supplisca egregiamente a tante ore di calcoli studiati con i paraocchi…perché conforta. E sublima.
Una cosa è certa. Rossi ci ha creduto fino in fondo. Con quell’incoscienza che solo pochi possiedono e che ancora di meno sanno usare a proprio vantaggio. Sublimando le velleità di chi li guardi, ammirato.
E con quella tenacia propria di chi ha un sogno. Ed è disposto a lottare fino alla fine per realizzarlo.
Forse è proprio questo che è mancato agli altri: un’idea per la quale mettersi in gioco, un Graal in cui credere, una donna da difendere.
O probabilmente, il coraggio necessario per farlo.
O uomini stolti. Oppure folli.
Perché la vita è un brivido che vola via, è tutto un equilibrio sopra la follia..
..
sopra la follia.