Un passo indietro, due avanti: così la Ducati ha dovuto combattere sul fonte interno dello sviluppo, oltre che contro gli avversari. Il risultato? Una stagione molto al di sotto delle aspettative. Ma ora le cose sembrano andare per il verso giusto, e se va avanti così...
di Alan Cathcart
Ducati è arrivata alla fine del primo anno di partecipazione alla MotoGP, nel 2003, carica di giustificato ottimismo per la stagione seguente: aveva dimostrato di essere l’unica contendente allo strapotere Honda e Yamaha. Ma il 2004 ha mancato di portare i risultati sperati, a causa dei problemi incontrati da Ducati Corse nello sviluppo dell’evoluzione della Desmosedici: nessuno dei due piloti, Loris Capirossi e Troy Bayliss, è riuscito ad arrivare ai livelli di competitività dell’anno precedente, relegati come sono stati a lottare per arrivare entro i primi dieci. Troy, inoltre, ha collezionato una serie di cadute che sembrava una maledizione.
Ma ora, dopo un anno, l’ottimismo è tornato insieme ai risultati, concretizzati in due podi nelle ultime due gare dell’anno e nei tempi sul giro fatti registrare nella prove invernali sia da Capirossi, sia dalla sorpresa Carlos Checa, arrivato a Bologna per sostituire Bayliss. L’australiano, infatti, è stato scaricato nonostante nell’appuntamento spagnolo di Valencia avesse raggiunto un brillante terzo posto, sintomo di una netta inversione di tendenza. Ma probabilmente questo cambio ha accontentato tutti: Troy ha trovato sistemazione su una Honda del team Pons Camel, mentre la Marlboro, sponsor principale della rossa italiana a due ruote, aveva più simpatia per lo spagnolo. E dopo una stagione tribolata in MotoGP (anche se addolcita dall’undicesimo titolo SBK) era probabilmente il caso di accontentare chi sborsa la maggior parte dei 23 milioni di euro che arrivano ogni anno dagli sponsor...
Quindi, cos’è andato storto? "Ho sempre pensato che se un aereo precipita, non c’è mai una causa sola," afferma Claudio Domenicali, responsabile della Ducati Corse. La moto 2003, in effetti, aveva problemi di trazione, evidenziati dai controsterzi a cui erano costretti i piloti, e da una mancanza di stabilità in staccata sulle piste lente, con forti variazioni di carico, sollevamenti del retrotreno e conseguente difficoltà in ingresso di curva.. Per contrastare questi problemi, per la stagione 2004 la distribuzione dei pesi è stata cambiata in modo significativo, e intanto la Michelin, presa dalla competizione con Bridgestone sulle gomme da 16,5", ha cessato di sviluppare l’anteriore da 17, limitandosi a utilizzare una mescola con più grip per le posteriori.
Ciò ha portato immediatamente i due piloti a perdere confidenza con l’avantreno, ma i tecnici ci hanno messo un po’ a capire se era un problema di gomme o di telaio. "Abbiamo iniziato il campionato con molta più trazione e molta meno sensibilità,"dice Corrado Cecchinello, direttore tecnico, "e abbiamo impiegato la prima parte della stagione a ribilanciare il tutto: ora la moto ha una distribuzione dei pesi molto più simile a quella del 2003". Incredibilmente, la Ducati non aveva mai provato in comparativa, sulla stessa pista e nello stesso giorno, le versioni ’03 e ’04 della moto, almeno fino a dopo la terza gara, a le Mans, quando i meccanici hanno messo insieme un esemplare ’03 con i ricambi (le moto intere erano state affittate al team D’Antin) e hanno incominciato a capire dov’era il problema. Purtroppo, però, ritornare alla vecchia distribuzione di pesi non era la soluzione perfetta, come sottolineato dalla prova in Qatar, dove Xaus con la vecchia moto è finito sul podio prima dei due piloti ufficiali, nonostante il sistema antipattinamento "a cilindro perso" montato sulla moto di Capirossi.
Il motore è stato sottoposto nel tempo a diverse modifiche. Dopo il GP di Catalunya si tentò di porre rimedio ai problemi di pattinamento utilizzando la configurazione Twin Pulse, cioè con i due cilindri di ogni bancata con combustioni contemporanee e uno sfasamento di soli 90° tra combustioni posteriori e anteriori. Un motore, dunque, con un comportamento tipo Big Bang, già sperimentato nella 500 all’inizio degli anni ’90, che in questo caso permette al pneumatico di beneficiare di 630° di "calma" nella rotazione dell’albero motore. Gravi problemi meccanici (rottura dei carter) e una leggera perdita di potenza dovuti alla concentrazione degli scoppi hanno però portato prima i piloti a preferire la versione più potente, con combustioni meglio "distribuite" nei due giri dell’albero motore, poi i tecnici ad "ampliare" l’angolo di intervallo tra le combustioni di circa 30° (il dato preciso è un segreto) sfalsando le due manovelle dell’albero motore.
La versione più recente, chiamata Long Bang, mantiene dunque le caratteristiche di guidabilità del Big Bang, ma ritrova l’affidabilità grazie al fatto che i due cilindri della stessa bancata non sollecitano contemporaneamente i supporti di banco. Ciò ha però costretto a sviluppare e costruire un impianto di scarico del tutto nuovo, con quattro condotti separati, poiché le onde che arrivano dai quattro cilindri si ostacolerebbero a vicenda se confluissero in un 4-1 o un 4-2. Nello stesso tempo la centralina Marelli è stata aggiornata con un sistema antipattinamento che esclude il funzionamento di un cilindro in caso di perdita di trazione della ruota posteriore.
Intanto la ciclistica è stata aggiornata sia spostando davanti il peso della centralina e dell’acquisizione dati, sia posizionando più in avanti e in alto il serbatoio; il telaio è stato irrigidito da un paio di controventature, mentre il forcellone è stato irrobustito e, sulla moto di Bayliss, è stata montata la forcella TT25 della Ohlins. "Adesso è una gran moto, ti divertirai a guidarla," mi conferma Troy, "il Twin Pulse ha proprio il sapore che deve avere un motore Ducati, e in più è meno impegnativo da guidare. Per me adesso può veramente diventare una delle moto al top del mondiale, mi spiace solo che non sarò io a guidarla, anche se il posto dove vado non mi dispiace affatto...".
La pista di Valencia è davanti a me, appena due giorni dopo il GP, nello stesso giorno in cui ho provato la Yamaha di Valentino ed esattamente un anno dopo la prova della prima Desmosedici. La carena è stata modificata per migliorare la ventilazione del pilota e il raffreddamento del motore, ma si prova ancora la sensazione di essere seduti in alto. Date le dimensioni di Capirossi, mi aspettavo una moto stretta, corta, scomoda per uno della mia stazza. Invece si vede che Loris preferisce potersi acquattare ben bene dietro il cupolino, perché, a parte le pedane un po’ avanzate e i manubri angolati tipici delle 125 e delle 250, l’ho trovata assolutamente adatta alle mie misure, anzi, addirittura abbondante, se paragonata a un gioiello di miniaturizzazione come la M1. Il suono del motore è inebriante, il rombo rauco e corposo che esce dai quattro megafoni con il minimo a 3500 giri è esaltante.
Già i primi metri confermano la mia prima impressione: la Ducati è più lenta e faticosa da guidare nello stretto, manca della maneggevolezza delle giapponesi, anche se ripaga abbondantemente con una stabilità eccezionale nei curvoni veloci, o anche nel gomito da fare a 140 all’ora alla fine del rettilineo. L’avantreno ispira una sicurezza incredibile, ma come previsto è il motore a fare la parte del leone, e probabilmente anche ad avere la gran parte dl merito del podio conquistato. Con 10 CV in più del 2003 (dovremmo dunque essere dalle parti dei 250 CV veri all’albero), la versione 2004 aveva fatto vedere la stratosferica velocità di 347,4 km orari sul rettilineo di Barcellona, durante i test Irta pre-campionato. In cambio, il motore vibra sensibilmente di più, ma l’erogazione strepitosa fa dimenticare presto questo dettaglio: gira liscio e pulito sin dai 6000, poi a 8000 si rimpolpa e ti fionda in un crescendo rapido e grintoso fino a raddoppiare il regime. La centralina "giornalisti" taglia a 16.000, ma in gara il limite è spostato a 17.500... Una notevole ampiezza di potenza tutta da utilizzare, erogata in modo esemplare, anche se certo più decisa e vigorosa dell’anno scorso: per questo la Desmosedici 2004 impenna più gradualmente fuori dalle curve lente. Lodi alla frizione antisaltellamento, che permette a Bayliss (detto affettuosamente "l’animale" da qualcuno all’interno del box) di scalare senza azionare la frizione, mentre non ho potuto accorgermi dell’intervento del sistema di controllo della trazione, nonostante la Michelin posteriore (anch’essa in versione "giornalisti") pattinasse vistosamente fuori dalla curve.
Dove invece c’è ancora da lavorare è sull’effetto interruttore alla riapertura del gas, non così fastidioso come la Kawasaki che ho provato il giorno prima, ma abbastanza forte da deviare la traiettoria impostata: le curve vanno percorse facendo scorrere la moto con gas puntato, piuttosto che con il consueto staccata-spigolo-manata sul gas. La Yamaha ha beneficiato dalla doppia farfalla: perché in Ducati non ci fanno un pensierino? Magistrale, per contro, il comportamento in frenata: la centralina Marelli gestisce un minimo a regime variabile che è di grande aiuto a mantenere la stabilità del retrotreno mentre i due potentissimi dischi in carbonio anteriori e le relative pinze radiali fanno il loro dovere. Insomma, Ducati ha una vera chanche di rompere il monopolio giapponese nel 2005, specialmente vista la velocità con cui Checa si è adattato alla moto: qualche rifinitura al meraviglioso motore, un po’ di lavoro per portare la maneggevolezza allo stesso livello della stabilità, e direi che ci siamo proprio!