dalla g
azza
Mike the Bike, il talento Poi donne, musica, F.1 e tante sfide impossibili
Veloce, pulito, piegava così tanto da avere gli stivali limati e le dita dei piedi sanguinanti Non sapeva fare a meno delle corse ma aveva altri talenti: suonava da professionista
Grandissimo. Folle. Indisciplinato. Stravagante. Fragile. Inarrivabile. Mike Hailwood era tutto questo, quando il motociclismo di 40 anni fa raccoglieva sulle piste lo stesso pubblico di oggi, ma non aveva la ribalta mediatica della tv. Per cui, alla fine, restava una cosa di parrocchia, per tanti intimi che anche allora si divertivano di più a guardare le 2 ruote che non la F.1.
Mike the Bike (Mike la Moto, i tifosi lo chiamavano così) era un idolo osannato, la cui popolarità era sconfinata dall'ambito dei box per entrare nella mondanità. Hailwood, con i capelli lunghi, i vestiti hippy, gli occhialini che a volte indossava ridendo di sé, era una sorta di sofisticato figlio dei fiori che correva in motocicletta e che, in tutto il mondo, era osannato e riconosciuto negli anni in cui anche altri quattro ragazzi inglesi, di Liverpool (lui era di Oxford), che si chiamavano Beatles, cominciavano a spopolare.
ORIGINI - I Beatles erano il popolo, Mike the Bike rappresentava una società più snob. Affascinava il fatto che uno nato ricchissimo fosse diventato campione di un ambiente in cui l'origine di tanti altri era invece modesta. Il padre di Hailwood, Stan, aveva fatto i soldi vendendo moto ma reinvestendo in attività immobiliari e finanziarie. Mike era cresciuto nelle migliori scuole, salvo poi fare di testa sua. Però conosceva le buone maniere ed era uno di ottime letture. C'era sempre un libro nella sua valigia, semmai dimenticava i vestiti. Però l'indole era stravagante e le mani erano bucate. Non fu un caso se il padre gli intestò un hotel in Florida, con la clausola che l'avrebbe potuto vendere solo alla morte del suo accorto genitore.
CARRIERA - Non è scontato che ad Hailwood la moto piacesse proprio da impazzire. Di sicuro era legatissimo a quell'ambiente di strampalati come lui. Correre faceva parte di un complesso di cose di cui non sapeva fare senza: gli amici, le sbronze, la musica, l'esagerazione. Nella musica esprimeva il suo altro talento. Suonava da professionista il piano, la chitarra, il basso e anche il clarinetto. Passava notti intere ad ascoltare jazz, spesso aggiungendosi ai vari complessi. La gente, vedendolo, non immaginava che fosse Mike the Bike. Adorava bere: vodka e latte la mistura preferita. Ne faceva partecipi tutti, compresi i pesci rossi del suo acquario, cui con il contagocce somministrava perfidamente l'alcol: «Si devono abituare».
Poi, quando doveva affrontare gli impegni più importanti, si teneva a stecchetto e diventava, per qualche giorno, un professionista impeccabile. Ed ecco che in pista sfogava un talento divino. Che gli permetteva di vincere con ogni moto e correre con qualunque mezzo, dalla Itom 50 alla Paton 125 per salire poi sulle Honda e MV ufficiali che gli hanno dato 76 gran premi e 9 titoli iridati. A volte correva in 4 classi nella stessa giornata. Un fisico fortissimo. Dopo 10 anni di assenza dalle gare in moto, tornò al micidiale Tourist Trophy nel '78 e trionfò con la Ducati. Replica l'anno dopo: vittoria e primato con la Suzuki 500. Aveva 39 anni.
STILE - «Un giorno gli chiesi: come fai ad andare così forte? Mi disse che non lo sapeva, guidava e basta». Le parole di Phil Read sono la foto di Hailwood, l'uomo dagli stivali limati e dalle dita dei piedi sanguinanti, tanto piegava. Non andava in derapata perché le gomme a pera non lo permettevano, ma aveva una velocità a metà curva impossibile per gli altri. Delizioso, pulito, con la testa a 90 gradi rispetto all'asfalto, quasi a guardare con un grandangolo la curva. Come Valentino.
RIVALI - Agostini prima di tutti. E poi Read, Bryans, Redman, Ivy, Pasolini e la fortissima generazione anni 60 e 70. Gente forte, generosa, in uno scenario di sicurezza da incubo. Rischi inimmaginabili, olio in pista, moto insicure e fragili, protezioni sconosciute. La moto come inferno. Leale, generoso, non ha mai litigato né preso in giro nessuno. E tante volte ha salvato il posto di un compagno di squadra, andando più piano.
AUTO - Hailwood ha corso in parallelo su 2 e 4 ruote quasi dall'inizio. Nel '64, l'anno dell'iride 500 con la MV, giunse sesto a Montecarlo con la Lotus. Nel '72 è stato campione europeo di F.2. Ha disputato globalmente 50 GP iridati, miglior piazzamento il secondo posto a Monza nel '72. Ma le auto, confessò poi, non lo hanno mai davvero conquistato.
PRIVATO - Si sposò con Pauline dopo che questa gli aveva dato due figli. Donnaiolo senza confini e senza freni, ha avuto ragazze bellissime e innamoratissime. Delle quali si stancava subito. Era un uomo di fascino e larghezze, che viaggiava in Jaguar, Aston Martin, Ferrari, a velocità folli. Se sbatteva, lasciava la macchina distrutta sul posto e faceva l'autostop, senza più preoccuparsi. Morì in auto e con lui la figlia Michelle di 9 anni, per l'inversione di marcia in autostrada di un Tir. Aveva 41 anni, vissuti con vorace intensità.
Pino Allievi