Fonte: Repubblica.it
E' uscito ieri in Inghilterra "Pensa se non ci avessi provato",
l'autobiografia di Rossi: "Era ora di scrivere la mia verità"
Valentino, diario di un fenomeno
"Così ho cambiato il motociclismo"
"Guidare una moto al mio livello è una forma
d'arte, come giocare a calcio come Ronaldo"
di CORRADO ZUNINO
Valentino Rossi dopo
l'ultima vittoria a Brno
ROMA - Ha deciso di passare al pubblico le emozioni che gli scorrono dentro da 26 anni e sei mesi. Ha deciso, il più grande campione sportivo italiano, un post-adolescente con il cuore da bambino che oggi può confrontare il suo mito itinerante con le leggende di Michael Schumacher, Michael Jordan, Giacomo Agostini, di darsi un po'. "E' giunto il momento di dire la verità, su di me sono state scritte troppe sciocchezze", spiega Valentino Rossi. Da ieri nel mondo anglosassone è in libreria l'autobiografia del pilota di moto più forte al mondo. S'intitola: "What if I never tried it". Già, "Pensa se non ci avessi provato". Da ottobre sarà in Italia, il successo è cosa scritta.
Il lavoro è frutto di lunghi colloqui tra Valentino Rossi ed Enrico Borghi, giornalista del settimanale "Motosprint" che conobbe il pilota bambino e dopo otto anni si è ritrovato a raccontarlo campione. Molti argomenti tabù nell'autobiografia restano inviolati: Valentino qui non parla di ragazze, sesso, soldi, religione, politica. "Il resto della mia vita privata non è importante, di me resteranno i risultati e l'idea di un motociclismo funny, divertente". Scrive Valentino Rossi: "Guidare una moto al mio livello è una forma d'arte, è come scrivere una bella canzone, giocare a pallone come fa Ronaldo". Ecco, la corposa autobiografia prova a spiegare al mondo che Valentino segue - perché c'è un mondo che si è formato attorno all'esteta della moto, che lo ascolta e trae ispirazione dalle sue staccate e dalle sue t-shirt - le emozioni del ragazzo. "Pensa se non ci avessi provato" racconta come è nata la passione per una moto, spiega perché lui dorme di giorno e vive di notte e cosa accade a un pilota di moto la notte prima della gara: "E' un libro diretto e onesto", dice, "e alla fine un lettore potrà capire che sono una persona normale che riesce a vivere rilassato anche i momenti più duri".
Valentino Rossi da tempo ha la residenza a Londra e qui rivela: "Dal 1997 mi sono sentito braccato, diventare un idolo in Italia vuol dire diventare ostaggio degli italiani: ti fanno tuo e ti considerano di proprietà. Non credo esista un popolo capace di darti un affetto così grande, ma io non potevo più fare benzina, comprare un paio di jeans". Gli amici dell'infanzia sono il segreto della sua forza: "Venti, li ho conosciuti all'asilo, alle medie, al liceo linguistico e so che loro ci sono sempre". Con i giornalisti il rapporto è sopportato a fatica: "A me la stampa italiana non ha mai perdonato niente". Gustosi i passaggi dedicati ai nemici sportivi. Di Massimiliano Biaggi il ragazzo Rossi dice: "Non lo stimo, ma non l'ho mai odiato, l'odio non è un mio sentimento. A Barcellona, nell'estate del 2001, ci siamo dati calci e pugni sulla scaletta che porta al palco, appena finita la gara. Erano cinque anni che accumulavamo tensioni. Lui stava litigando con il mio manager, io l'ho visto e gli ho urlato: "Che c... stai facendo". Mi ha risposto: "Cerchi qualcosa?". Sono salito su per le scale, aveva gli occhi rossi, era furioso. Non l'avevo mai visto così".
Il passaggio centrale dell'intero libro è la corsa di Welkom 2004. Valentino Rossi vince all'esordio con la Yamaha: "Qualcosa di impensabile, anche per me. Il motociclismo è cambiato per sempre l'8 aprile 2004. A fine gara, quando mi sono seduto a fianco della moto, ho stretto la testa tra le ginocchia e ho iniziato a ridere. Ridevo di cuore. Ridevo per l'incredibile sentimento di orgoglio, sollievo e felicità che mi aveva pervaso. E allora, mi dicevo, alla fine ho avuto ragione: ho fatto bene a lasciare la Honda. Un mio amico, in una delle ultime gare del 2003, aveva visto Sete Gibernau prendermi in giro davanti a un televisore che trasmetteva immagini mie. "Vedrete", diceva, "quando sarà su una Yamaha addormentata non riderà più". Questo è il motivo per cui la prima gara di Welkom è stata la più importante della mia carriera. Io e Biaggi fummo così veloci che Gibernau, terzo, sembrava aver disputato un altro campionato".
Allegro e "rossiano" il racconto sull'addio alla Honda per Yamaha. "L'avventura iniziò con un meeting segreto a Ibiza, febbraio 2003. Davide Brivio venne a parlarmi del progetto e mi disse subito: "Ti vogliamo, sei l'unica ragione per cui non battiamo Honda. Fino a quando correrai per loro non potremo batterla". La svolta arriva in estate: "Decisi di incontrarli con il mio manager Gibo Badioli a Brno, in segreto. Il posto giusto era la clinica mobile, ci vedemmo a tarda sera, nel paddock non c'era più nessuno. Davide Brivio e Lee Jarvis vennero fuori sui loro scooter, dal buio: erano passati dalla foresta. Sembravamo amanti in un incontro di mezzanotte. Il mio amico Nello, miope, restò fuori a controllare l'ingresso. Io non persi tempo: "Salgo a bordo", dissi. Si guardarono increduli. Ci interruppe Nello: "Sta arrivando uno scooter". Se correvamo fuori ci avrebbero presi per ladri, così ci nascondemmo sotto un tavolo: mi sembrava bellissimo. Brivio e Jarvis rimasero al sicuro, come degli scoiattoli, mangiando biscottini per terra, io mi feci serio, presi la mano di Brivio e la strinsi vigorosamente. La mia decisione era stata presa".
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