Se in Giappone avesse rinunciato ad attaccare Melandri ora sarebbe già campione del mondo
Se in Giappone avesse rinunciato ad attaccare Melandri ora sarebbe già campione del mondo Valentino Rossi, l'arte di non fare mai calcoli «Se non ci avesse provato...» Non sarebbe un campionissimo
«Se non ci avessi provato...». Il titolo dell'autobiografia di Valentino Rossi si è già trasformato in un boomerang. Perché se ieri mattina in Giappone Vale non ci avesse provato adesso sarebbe già campione del mondo per la settima volta. Se avesse avuto pazienza, se avesse preso con più calma l'arrembaggio a Melandri, aspettando un po' per l'attacco, prima o poi il sorpasso sarebbe arrivato e con il terzo posto (dietro a
L'incidente di Vale (Ansa - SkyTg24)
Capirossi e Biaggi) sarebbe diventato aritmeticamente campione con cinque gare d'anticipo.
Lo sciagurato tamponamento di Melandri, invece, ha rinviato la festa di una settimana. Non ha compromesso nulla, sia chiaro, i 112 punti di vantaggio su Biaggi, non cambieranno la fine del Mondiale di MotoGp. Ma se solo avesse aspettato, da ieri sarebbe già in vacanza. Però se ieri avesse aspettato non sarebbe Valentino Rossi. Perché Vale è fatto così. La colonna sonora della sua vita è «Vado al massimo», dell'altro signor Rossi, quello che paragona le MotoGp all'hard rock. È uno che vuole provarci sempre, che vuole prendersi tutto subito senza aspettare. Avete presente Schumacher e Senna, gente fatta della stessa pasta, campioni che quando vedono il varco provano ad infilarsi, che non hanno mai saputo correre al risparmio, aspettare il loro momento come facevano invece ragionatori come Alain Prost, Niki Lauda o Jackie Stewart.
Basta ripensare a come ha vinto la prima gara dell'anno in Spagna quando si è tuffato nel buco lasciato da Gibernau all'ultima curva del tracciato di Jerez. In pochi ci avrebbero provato. Perché tuffarsi in quel modo tra la moto dell'avversario e l'interno della curva era un rischio enorme. Si poteva prendere tutto il bottino, ma anche perderlo completamente. Accontentarsi di un secondo posto, però, sarebbe stato peggio. Almeno per chi come Valentino, Schumi o Ayrton Senna, corre per vincere. Sempre. «Valentino ha realizzato anche stavolta quello che gli altri riescono solo a immaginare, confermando di avere quel quid in più del fuoriclasse», commentò allora Giacomo Agostini, uno che in moto ha dato lezioni al mondo intero e che quando correva sapeva dosare nel migliore dei modi, attacchi e «ragionamenti».
Il campionissimo è quasi sempre fatto così. È uno che non sa risparmiarsi. Che per il gusto di un sorpasso, di un azzardo, di un colpo spettacolare, rischia di compromettere tutto. Come Senna nel 1988 con la McLaren a Monza, quando a pochi chilometri dal successo andò a incocciare in un doppiato (Schlesser) alla prima chicane regalando la vittoria, l'unica della stagione, alla Ferrari di Berger. Avesse aspettato cento, duecento metri, avrebbe vinto senza problemi. Come Schumacher che sotto il diluvio di Spa nel 1998 attaccò al buio Coulthard senza prevedere il gioco poco pulito, se non addirittura sporco dello scozzese è gettò al vento una vittoria sicura e forse anche il campionato. Ma i campionissimi sono gente fatta così. Se Schumacher avesse ragionato e non giocato d'istinto in mille altre occasioni non avrebbe vinto tutto quello che ha vinto. Se Senna fosse stato un ragionatore come Prost nell'immaginario collettivo non sarebbe superiore al Professore che pure ha vinto più Mondiali di lui e di chiunque altro a parte Schumi e Fangio. È inutile prendersela con Valentino e quelli come lui. Non accontentarsi, non fare mai i calcoli ma inseguire sempre il massimo a disposizione in quel momento, in fin dei conti è un'arte.
Sarebbe come pretendere che i calciatori brasiliani rinunciassero ai colpi di tacco, che Michael Jordan appoggiasse la palla al tabellone invece di andare a schiacciare, che John McEnroe giocasse a tennis da fondo campo senza mai avventurarsi sottorete. Ci sono atteggiamenti, modi di vivere e di comportarsi che non si possono cambiare. Ed è bello che sia così. Che ci sia al mondo ancora qualcuno che non rinuncia ad essere se stesso o non finge di essere qualcun altro per un'apparizione in tv o una foto in prima pagina.
Umberto Zapelloni
19 settembre 2005
corrieredellasera