Testo e foto tratti da Motosprint n°26-1996 (26 giugno - 2 luglio)
VEDENDOLO sgusciare al fianco della sua Honda, Michael Doohan si è fatto una bella risata. Orecchie radenti il cupolino, mani a un millimetro dai comandi al manubrio della NSR 500, Valentino Rossi lo ha fissato con il più innocente degli sguardi. «Metti pure il naso dove vuoi...» lo ha incoraggiato il campione del mondo, divertito dalla sua curiosità di ragazzino con un'attrazione fatale per le moto ufficiali e i campioni che le guidano, eletta schiera nella quale sembra destinato ad entrare a breve termine.
Non è ancora vincente, ma è già un personaggio. Al contrario di Max Biaggi, bel tenebroso, Valentino colpisce per la parlantina, la voglia di ridere, l'innocenza dei diciassette anni che ispira epidermicamente simpatia.
Il cerchietto a mettere un po' d'ordine tra i capelli a caschetto, gli occhi vispi, le mani grandi, il piccolo Rossi è un mucchietto d'ossa che la tuta di pelle ingobbisce un po', aiutandolo a stringersi nella sua Aprilia 125, la moto con cui sta guadagnando consensi sulla scena iridata. È troppo lungo per starci comodo, ma gli piace così tanto che vuole cambiarla sol¬tanto con la versione più evoluta di quella ufficiale, sulla quale salirà il prossimo anno, perché «un po'di gavetta non gli fa male» e perché c'è qualcuno a cui non va giù la sua ascesa tra i grandi della categoria.
Si è già fatto i primi nemici, il più incattivito è Jorge Martinez, grande campione spagnolo che non riesce ad invecchiare serenamente. «Si è lamentato perché al Mugello la mia moto non andava abbastanza piano, ed ha chiesto all'Aprilia di intervenire per ristabilire le distanze - se l'è legata al dito il ragazzino - . Avrei preferito si facesse gli affari suoi, ma sarò ancor più felice di stargli davanti con una moto che va meno della sua. Lo vedo che si rode, e mi diverto un sacco a metterlo in difficoltà.,.».
Brillano gli occhi al monello Rossi, "supergiovane" in lotta con i "matusa", capeggiati da papà Graziano.
«Tendo a fare l'opposto di quello che mi dice - confessa senza vergogna - perché lui va sempre di corsa, in tutto quello che fa. Fosse per lui sarei già passato alla 250, ha troppa fretta, è troppo agitato; quando correva ha sbagliato i tempi delle sue scelte, io non voglio fare lo stesso». Il conflitto di famiglia ha raggiunto i massimi livelli durante l'inverno. Oggetto del contendere, gli studi.
«Mi "hanno scelto" una scuola troppo difficile - sottolinea Valentino, mai troppo convinto di frequentare il liceo linguistico - prima di cominciare a correre sul serio andavo bene, ma con l'europeo le cose sono cambiate, vivevo in due mondi com¬pletamente distinti. In pista, anche se Cecchinello mi batteva sempre, dicevano che ero bravino; a scuola volevano farmi passare per scemo. I miei compagni di classe erano tutti perfettini, e farmi prendere per i fondelli da loro per cinque ore al giorno non mi andava proprio. Io non credo di essere un cretino, ma non frequentavo abbastanza per rimanere al passo. Così ho smesso e da allora sono più sereno, più rilassato, ma con mio padre è stato il finimondo. Sono stati giorni di tensione, però adesso è passata, lo e Graziano litighiamo spesso, e qualche volta andiamo anche d'accordo. Il problema è che siamo molto diversi: lui mi fa innervosire, ed io reagisco facendo arrabbiare lui...». Normali conflitti generazionali che accompagnano l'adolescenza. Ma Valentino e Graziano sono uniti dal grande amore per le moto e le corse.
«Sicuramente Graziano mi ha trasmesso la sua passione - fa un salto nel passato Valentino - sono entrato nel mondo delle corse ancora in fasce, e mi è piaciuto subito, anche se da piccolo le moto mi facevano un po' paura. Mi piacevano di più le macchine, così le prime gare le ho fatte con il kart, poi nel '90 a Natale mi regalarono la minimoto, una delle prime che si sono viste in Italia, e lì è nato l'amore...».
Una voglia di correre che non si può tramandare di padre in figlio.
«lo e Cristiano, il figlio di Lucchinelli - cita un esempio calzante Rossi - siamo coetanei, e siamo entrambi figli di piloti. Bene, a lui delle corse non è mai fregato niente, non ne ha voluto sapere. Papa può spingerti per un paio d'anni nelle minimoto, ma poi basta, se non lo senti dentro finisci per smettere perché è uno sport dove si rischia. Puoi andare avanti solo se ti spinge la passione».
Quella di Valentino è sbocciata con la minimoto.
«Sono stato un "pioniere"; le prime volte che sono andato in pista c'erano cinque o sei persone in tutto, però credetemi, partire da lì mi è servito tantissimo. Il principio è sempre lo stesso: curve, traiettorie, ginocchio in terra, bagarre in gara. La prima volta che sono salito su una 125 mi sono trovato subito bene. Merito della minimoto».
Il piccolo Rossi si è subito sentito a suo agio anche sulla prima moto da gran premio che ha guidato, la Honda 125 del Team Pileri. «La provai alla fine del '93, e Francesco Pileri mi offrì di correrci l'europeo - ricorda -. Poi però, mentre la trattativa era an¬cora in corso, si fece di nebbia... Riapparve un anno dopo, quando correvo anco¬ra nelle sport production. Mi fece la stessa offerta, una bella moto, una bella squadra, e... sparì di nuovo. Credo proprio che non correrò mai con Pileri, quando mi ha telefonato per offrirmi una Honda 250 ufficiale per il '97 mi sono messo a ridere...».
Una moto vincente offre anche l'Aprilia, insieme a due anni di contratto. E molti, papa compreso, lo vorrebbero vedere al più presto in 250.
«La 250 mi fa ancora paura, nel vero senso della parola - chiude l'argomento Valentino - : va molto forte, l'ho provata e non mi sento ancora pronto a guidarla. L'anno prossimo resterò in 125, non è la mia moto, è troppo piccola, ma mi piace, e poi mi diverto da matti a stare nel gruppone dei primi. Mi diverto troppo».
La moto è un gioco che sta diventando una cosa molto seria. E Valentino, che pure è piuttosto sicuro di sé, preferisce prendere le decisioni importanti convocando il "gran consiglio" di famiglia. È importante avere qualcuno con cui consultarsi prima di fare certi passi.
«Questa idea del "gruppo" mi piace. Ne fanno parte papa, mamma, Aldo Drudi (apprezzato designer di tute e caschi) ed il mio preparatore atletico. Un manager può anche fregarti, loro invece so che non lo faranno mai».
Saggio il ragazzo, ma non lasciatevi in¬gannare. Valentino non sa sfuggire alle leggerezze dei coetanei.
«Rischio più con lo scooter che in pista - si merita la prima tirata d'orecchie - e poi ho un'Ape (il tre ruote della Piaggio) che è una bomba ad orologeria. Può esplodere da un momento all'altro...».
E via con la seconda tirata d'orecchie. Valentino cambia registro.
«...Non fumo, non bevo, accompagno a casa gli amici se si fanno un bicchiere di troppo e non ho mai attaccato briga con nessuno. Studio l'inglese, mi alleno in palestra e vivo molto di notte. "Gente della notte", la canzone di Jovanotti, è la mia preferita».
- Fanatico della discoteca?
«Non proprio. Della notte mi piace il silenzio, la calma. Mi piace stare al buio, e andare a letto alle prime luci dell'alba. Sono sempre l'ultimo a tornare a casa, i miei non impazziscono di felicità, ma si fidano».
Mamma chiude un occhio...
«Siamo complici - sorride Valentino –all’inizio questa cosa delle corse l'ha presa male, non voleva firmarmi la licenza... Ma adesso è diverso, a volte mi segue ai gran premi, guida lei il camper».
Valentino non ha ancora l'età per farlo. In fondo si è appena liberato della fama di "bambino terribile".
«Ero un bel rompiscatole - è severo con se stesso - ricordo che alla settimana bianca dei piloti, a Livigno, Reggiani e Gramigni mi avrebbero ucciso se non fosse stato per mio padre... Loro erano là per divertirsi sulla neve, io non li risparmiavo un secondo, li sommergevo di domande. Erano i miei idoli e anche se mi accorgevo di esagerare non riuscivo a farne a meno».
Oggi Loris e Alex lo hanno perdonato, hanno subito il suo fascino. È facile indicare in Valentino la rivelazione del mondiale '96.
«Vorrei tanto esserlo - tira il freno il piccolo Rossi - certo vado più forte di quanto mi aspettassi. Aoki e Sakata sono più bravi di me, questo è certo, ma gli altri non sono troppo lontani».
Un bel passo avanti, per un pilota che nell'europeo non è riuscito ad arrivare alla vittoria.
«Cecchinello aveva una moto molto simile a quella di oggi, ed io un'Aprilia standard. Ero sempre al limite, perché non mi andava che Lucio vincesse troppo facilmente, così sono caduto una quindicina di volte... Sbagliavo molto, oggi sono più preparato fisicamente e più concentrato». Se gli chiedi di immaginarsi al posto di Biaggi, in un futuro non troppo lontano, Valentino storce il naso.
«Max è forte, ma io preferisco Harada. Secondo me è la perfezione della guida, è bello, pulito, non tocca i cordoli, non striscia il ginocchio sull'asfalto, è l'esatto opposto di come sono io. E poi mi saluta sempre, Biaggi invece è più "sborone"...».
Il piccolo Rossi promette di rimanere genuino per sempre.
«Se cambiassi mi deluderei molto, ma spero e credo che rimarrò come sono. Mi fa un po' ridere sentirmi dire di continuo che non devo montarmi la testa, ma devo ammettere che mi piacerebbe essere popolare come Biaggi, senza essere come lui».
Si può fare.