Non so se è la sezione giusta...nel caso spostatelo
LA FOLLIA VISITA IL TEMPIO DELLA SAGGEZZA
La Clinica Mobile è parcheggiata in una delle più belle piazze della città di Genova e sembra che abbia soggezione della bellezza che la circonda. È solamente un’esitazione iniziale. Poi l’incanto… il tiepido sole che illumina e scalda la città di Genova che si sveglia al nuovo giorno racconta alla Clinica che anche la bellezza della piazza nasce dalla sofferenza e dalla tragedia.
L’animo degli uomini ha da sempre creato le opere più sublimi per ricamare una simbolica tela per coprire l’angoscia, il nulla, e la tragedia della vita. Forse per questo la Clinica Mobile è bella: perché anch’essa assiste talora al dramma del mondo degli eroi, ascoltando un’antica melodia che canta la sofferenza dell’umanità. La Clinica Mobile interrompe per un attimo il fraterno colloquio con il bello della Piazza di Genova e mi lascia scendere. Mi reco con il cuore pieno di emozione nel vicino Palazzo Ducale e speditamente nella Sala del Maggior Consiglio, gremita di folla e di studenti che frequentano le facoltà dell’Università di Genova.
Vivo un sogno irreale che vorrei non finisse mai. Sono seduto in un angolo con vicino mio fratello Carlo, i miei amici di sempre, e impalpabile la figura di Monica Lazzarotti, “servitore” da quest’anno della Clinica Mobile. Le tengono il braccio Vincenzo Ieracitano, il medico che ama lo sport da sempre, Antonio Dal Monte maestro di vita, ed Elisabetta Armiato, danzatrice sublime del teatro La Scala . Improvvisamente, entrano nel salone in fila indiana preceduti dal Rettore dell’Università di Genova, alti e solenni, dieci docenti vestiti con la toga e l’ermellino bianco e rosso.
L’immagine mi trascina in altri tempi dove forse il rituale aveva un’importanza immensa nel consacrare le imprese degli uomini. Parla il Rettore. Comunica agli astanti che stanno per conferire un Laurea Honoris Causa, cioè per meriti, a qualcuno che l’ha meritata. Il preside della facoltà dottor Millo pronuncia la “Laudatio” che è l’elogio del nuovo laureando. Parla di mio padre, parla di me come una favola. Sono in una favola. Due ancelle mi si avvicinano e mi vestono con la toga e l’ermellino. Ora ho la stessa divisa degli scienziati.
La cosa m’imbarazza perché non ho mai abitato la scienza ma ho sempre pensato che la follia fosse la vera saggezza. Lo devo confessare. Devo dire a quegli eminenti scienziati che forse si sbagliano ad eleggermi nella loro aristocratica schiera. Mi alzo e occupo il pulpito della sala. Vorrei essere un poeta ma il mio cuore ricorda solo le emozioni che questi mi hanno donato con le loro opere. Mi faccio forza aiutato dall’applauso degli astanti e racconto che nell’azione del corpo si cela la ragione divina che illumina l’immensità dello spirito. Racconto le favole di mio padre, di Loris Capirossi, di Doohan, di Laura Zacchilli, la piccola graziosa Laura e racconto di Valentino Rossi.
Poi la voce s’incrina e mi abbandona. Non mi fa dire che Alex Zanardi ha un’anima come se il linguaggio non fosse una tecnica ma l’espressione di un’emozione, la gioia che si prova a incontrare il mondo. Il suono della voce si rifiuta di pronunciare la gioia e l’emozione che provavo nel vedere l’anima di Alessandro. La voce m‘impedisce di trasmettere la vertigine che provavo nel vedere quest’anima che si vestiva di eroismo e sorgeva come una luce divina che illuminava il mondo e tutti i suoi abitanti. Poi dico che Alessandro Zanardi ha un’anima e tutto il suo corpo e la sua follia raccontano questa favola al mondo della ragione. Scorrono le immagini degli eroi. Gli occhi degli uomini con la toga sono pieni di lacrime come sono umidi e bagnati gli occhi degli astanti. La follia dell’emozione è entrata nel regno della scienza. Si siede con garbo sul trono della scienza.
Solo allora posso ricevere la pergamena che recita che sono dottore in Scienze Motorie. “dottore” con la lettera minuscola come segno di devozione a un’Università dove sul trono della ragione sta seduto il corpo con tutta la sua follia. A questo punto, Roberto, l’amico che ho perso da qualche anno, entra nella sala venendo da chissà dove, e si siede accanto a Oriano. Un tempo lontano Roberto, Oriano e io, ci laureammo all’Università di Bologna in medicina, promettendoci che la scienza non avrebbe mai e poi mai imprigionato i nostri cuori e le nostre emozioni. Oggi, insieme, come tre moschettieri, abbiamo mantenuto la promessa.
da
www.clinicamobile.com
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io e kenny siamo compagni di merende...l'ha detto kabuno
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