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SCHEDA TECNICA

Tipo motore: Quadricilindrico in linea, 4 tempi, raffreddamento a liquido, distribuzione bialbero quattro valvole per cilindro.
Alesaggio e corsa: 65 x 45,2 mm
Cilindrata totale: 600 cc
Rapp. di compressione: 12 : 1
Potenza max all'albero: 71 kW a 12000 giri/minuto
Coppia max all'albero: 63 Nm a 95000 giri/minuto
Alimentazione: 4 Carburatori CV a valvola piatta.
Diametro carburatori: 34mm.
Accensione: Elettronica digitale
Avviamento: Elettrico
Cambio: 6 rapporti
Frizione: Dischi multipli in bagno d'olio.
Trasmissione primaria: Ad ingranaggi
Trasmissione secondaria: A catena.
Telaio: Monotrave in acciaio a sezione differenziata.
Sospensione anteriore: Forcella teleidraulica, steli da 41mm.
Sospensione posteriore: Monoammortizzatore idraulico.
Freno Ant.: Doppio disco da 296 mm.
Freno Post.: Disco da 220 mm.
Pneumatici: Dunlop D208, ant.: 120/70 ZR 17 post.: 180/55 ZR 17
Interasse: 1420 mm
Avancorsa: 98 mm
Angolo di sterzo: 25°45"
Peso a secco: 188 Kg
Serbatoio: Capacità 17 litri


Prova in pista: Honda Hornet 600
(24 febbraio 2004)

Edoardo Licciardello

INTRODUZIONE

Bisogna aver passato gli ultimi anni vivendo in un eremo per non aver notato il prepotente ritorno della moda naked già dalla metà degli anni ’90. Se da una parte modelli senza carena anche di un certo prestigio non sono mai mancati nei cataloghi delle quattro sorelle giapponesi, è stata Ducati, con la sua Monster, a sdoganare l’immagine della moto nuda anche presso il pubblico attento all’immagine sportiveggiante che tanto fa vendere qui in Italia.

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Dando a Cesare quel che è di Cesare, ovvero riconoscendo a Ducati questo pesante contributo alla moda attuale, bisogna però riconoscere anche il fenomeno Hornet, moto che dal 1998, anno in cui è stata lanciata sul mercato, ha goduto di un successo strepitoso, arrivando a diventare un’icona di mercato con una popolarità e un carisma degni di prodotti europei o statunitensi, ai quali il pubblico è solitamente più propenso ad attribuire “fascino” di quanto non faccia verso le moto del sol levante.

La Hornet ha conquistato indifferentemente customisti in cerca di migliori prestazioni dinamiche, motociclisti occasionali che volevano un mezzo da sfoggiare al bar e sportivi stufi dei manubri bassi o che magari cercavano la moto insospettabile con cui bastonare le “carenate” sui passi di montagna e valorizzare le proprie doti di guida.

Visto che della 600 Honda è stato ormai detto di tutto e di più per quanto riguarda l’uso stradale e le possibilità di personalizzazione, abbiamo pensato di verificare quanto sia davvero eclettica la naked di Hamamatsu portandola in pista: utilizzo sicuramente un po’ alieno al suo DNA ma che d’altra parte non deve essere stato del tutto trascurato in fase di progetto, visti i risultati che abbiamo ottenuto…

DESCRIZIONE

La Hornet nasce dalle “ceneri” della Honda CBR600F a carburatori. Pur essendosi notevolmente evoluta nel corso degli anni, il suo quadricilindrico bialbero a quattro tempi denota chiaramente le sue origini, mantenendo gli attacchi del precedente modello. Non modernissimo tecnicamente, come del resto si evince facilmente dall’impiego dei quattro carburatori in luogo dell’iniezione elettronica ormai imperante, non fa comunque rimpiangere unità più sofisticate. La rinuncia alle ultime sofisticherie, del resto assolutamente non penalizzante su una moto come la Hornet, contribuisce del resto a contenere i costi, pratica graditissima a tutti i potenziali acquirenti.

Il propulsore è da considerarsi sostanzialmente invariato rispetto alla prima versione del 1998, mentre la ciclistica è stata oggetto di costanti affinamenti. Il modello 2004 non prevede variazioni di rilievo rispetto alla versione dell’anno passato, se si escludono modifiche di dettaglio e colorazioni, ma va ricordato come nel corso degli anni siano cambiate le sospensioni, la misura del cerchio anteriore (17” dal 2001) e diverse soluzioni estetiche a partire dallo splendido faro anteriore multireflector per finire con il codino più affilato come sulla sorella maggiore 900.

Le finiture sono di qualità altalenante: a particolari riuscitissimi come pedane, strumentazione (sulla quale farebbe però comodo un orologio), scarico e comandi sia a manubrio che a pedale si contrappongono verniciature perfettibili e parti un po’ troppo “plasticose”. Va comunque detto che si tratta di difetti di entità assolutamente trascurabile, che richiedono un occhio allenato per essere colti e che soprattutto possono benissimo essere tollerati nell’ottica di contenimento dei costi di cui abbiamo già parlato più sopra.

COME VA

Come ogni Honda che si rispetti, basta percorrere qualche chilometro in sella alla Hornet per potersi illudere di averla guidata da sempre. La confidenza offerta dalla seicento Honda è pressoché totale anche verso i meno esperti, e permette ai più smaliziati di togliersi diverse soddisfazioni sia nella conduzione rilassata che nella guida sportiva.

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La posizione di guida è azzeccatissima: moderatamente sportiva ma comunque abbastanza rilassata da non affaticare mai. Solo nell’uso estremo sarebbero preferibili pedane più arretrate e magari un manubrio più basso che aiuti a caricare l’avantreno (e tolga un po’ di pressione dell’aria), ma considerando la destinazione prettamente stradale della Hornet è facile capire come si tratti di obiezioni abbastanza secondarie se non addirittura fuori luogo.

Andare forte è subito facile. La Hornet è agilissima, e permette di danzare allegramente nei cambi di direzione e sulle curve più lente, senza del resto costringere a compromessi in termini di stabilità sul veloce: basta evitare di attaccarsi al manubrio, lavorando invece con le gambe, per godere di una precisione invidiabile anche sui curvoni velocissimi, dove l’unico vero limite viene dalla posizione rialzata del busto che non permette di caricare a dovere l’avantreno.

Si tratta comunque di un problema abbastanza relativo, mentre più rilevante è invece la netta tendenza al sottosterzo con la taratura di serie delle sospensioni. La “nostra” Hornet ci è stata infatti consegnata con un quasi inesistente precarico del monoammortizzatore, e purtroppo senza gli attrezzi della dotazione di serie, rendendo quindi impossibile agire sulla ghiera preposta alla taratura.

Un vero peccato, perché siamo sicuri che sarebbe bastato irrigidire e alzare un po’ il retrotreno per godere di tutt’altra coerenza sul veloce e aumentare la luce a terra, decisamente scarsa per l’uso pistaiolo. Le Dunlop D208, particolarmente a loro agio sulla Hornet, permettono di fresare tranquillamente le pedane (e gli stivali, purtroppo) e meriterebbero angoli di piega superiori, del resto decisamente alla portata delle media Honda, le cui sospensioni, sia pur tarate con maggior attenzione al comfort che non alle prestazioni pure, vantano una discreta comunicativa e un comportamento sempre omogeneo, limitandosi a manifestare il loro disappunto con qualche sbacchettata quando si guida troppo di forza o attaccandosi troppo rigidamente al manubrio.

Il motore è degno partecipante di questo quadro: regolare e relativamente potente, non si rivela mai intimidatorio, girando pulito e regolare ai regimi più bassi per cambiare registro ed esprimere tanta grinta una volta passati i 6000 giri. Certo, nell’uso più cattivo bisogna farlo frullare per evitare di trovarsi sottocoppia in uscita di curva, ma basta far scorrere la moto e anticipare l’apertura del gas (pratica del resto facilissima vista la dolcezza del quadricilindrico della Hornet) per godere di una spinta vivace e sempre all’altezza della situazione. Solo nei rapporti più alti, quando le velocità si avvicinano ai 200km/h, il propulsore inizia a faticare un po’, ma sarebbe davvero ingeneroso pretendere di più da una nuda.

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Dove invece la situazione potrebbe migliorare è nel reparto freni, storicamente l’unica “macchia” nel positivo quadro generale dipinto dalla Hornet. L’impianto a due pistoncini anteriore non è male quanto a prontezza e resistenza allo sforzo (la leva si allunga davvero poco anche dopo una giornata in pista, a patto di non forzare continuamente le staccate) ma si dimostra un filo carente quanto a potenza. Pur con tutte le concessioni all’uso stradale, sarebbe piacevole poter disporre di una maggior riserva di “mordente” nelle frenate più lunghe, ma non è comunque escluso che la situazione non possa migliorare con l’uso di pastiglie di diversa mescola.

Attenzione, però: il piccolo difetto di cui sopra va riferito all’uso in pista, che con ogni probabilità è al di fuori dell’impiego abituale della Hornet. Ma credeteci, si tratta di una moto così divertente anche in circuito che viene naturale muoverle obiezioni del genere. Che a conti fatti, pur mantenendo la loro validità, si dimostrano il miglior complimento possibile per una moto che fa dell’uso sportivo su strada una delle sue migliori prerogative.

CONCLUSIONI

Basta usare la Hornet per una giornata perché emergano prepotenti i motivi del suo successo: una moto facile per il neofita ma allo stesso tempo valida per chi ha più esperienza, che con la gentilezza tipica delle medie (e non solo) Honda aiuta il proprio pilota a migliorare la propria guida, ad andare forte in sicurezza, e tollera maltrattamenti caratteristici di impieghi al di fuori della destinazione d’uso originale, quali appunto l’uso in circuito.

Allo stesso tempo, una moto bella e dall’immagine giovane e alla moda, ugualmente a suo agio sul passo di montagna (o nel paddock di un circuito: ricordiamoci che con la Hornet ci si corrono diverse serie in tutta Europa, non ultima la Hornet Cup italiana) come davanti al bar per l’aperitivo o alla località vacanziera.

Aggiungete un prezzo decisamente contenuto: con 7430 euro (sui quali non è impossibile ottenere un po’ di sconto dal concessionario), cifra più vicina alle quotazioni delle monocilindriche da enduro che non alle sportive quadricilindriche ci si porta a casa una moto, come abbiamo visto, tuttofare, la cui unica pecca sono alcune soluzioni “povere”, difetto peraltro facilmente risolvibile rivolgendosi al fiorente mercato dell’aftermarket dedicato alla Hornet.

Un prezzo relativamente contenuto per una delle proposte più valide e divertenti dell’intero panorama motociclistico. Chiedere di più rasenterebbe l’incontentabilità.

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SUZUKI SV 650, SV 650 S, 1000
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Sul circuito Santamonica di Misano Adriatico, abbiamo avuto i primi contatti con le nuove Suzuki SV nelle versioni 650 e 1000.
Iniziamo dalla più "piccola", e non per questo, meno importante.

La SV 650 è disponibile nella versione S, con mezza-carena, e nella versione naked. Completamente rinnovate sia esteticamente, sia tecnicamente, le due Suzuki si presentano come due sicure protagoniste per il 2003.

La prima cosa che salta all'occhio è il nuovo design, abbandonato il tutto tondo della vecchia SV si è passati ad uno stile estremamente spigoloso, più in linea con le tendenze attuali.
Protagonista è sempre il telaio che, messo da parte il traliccio in alluminio, vede ora una struttura in lega di alluminio pressofusa con reticolo interno, più rigida della precedente e soprattutto più leggera di ben 3 kg. Anche il forcellone è formato da due elementi pressofusi con reticolo interno, in questo caso saldati insieme.

La differenza tra la naked e la S si limita alla presenza in quest'ultima della mezza carena con
doppio faro, che risulta estremamente aggressiva e riuscita, mentre si poteva fare di più per gli specchi con snodo bello in vista. Look riuscito per il serbatoio ed il codino dotato di un originale fanale posteriore a led. Solamente due particolari appesantiscono la linea dalla SV in entrambe le versioni, il portatarga posteriore, pesante e poco "sposato" al resto della coda ed il radiatore che risulta troppo ingombrante (soprattutto nella versione naked).

Tutto questo vale anche per la 1000, che esteticamente, escludendo il motore con relativo puntale, non si discosta di una virgola dalla 650.
Per quanto riguarda proprio il motore, le sorelline più piccole montano il noto bicilindrico a V90 di 645 cc che eroga 72 cv a 9.000 giri e 64 Nm a 7.200 giri.

Il sistema di alimentazione ha abbandonato i carburatori per un impianto ad iniezione elettronica con doppia valvola a farfalla per ciascuno dei corpi farfallati. La prima valvola viene comandata direttamente dall'acceleratore, mentre la seconda è gestita tramite un servomotore da una centralina, che sovrintende anche all'accensione.

La SV è già in regola con le normative EURO 2 grazie anche all'utilizzo di un catalizzatore allo scarico ed al sistema PAIR (Pulsed Air System) che immettendo aria fresca nei condotti di scarico, permette l'ossidazione dei gas incombusti.

L'impianto frenante è dotato di una coppia di dischi da 290 mm all'avantreno, mentre posteriormente è montato un disco da 220 mm.

................

Saliti in sella le differenze tra le due versioni, naked e S, 650 e 1000, sono limitate alla presenza, nella versione nuda, di un manubrio, al posto dei due semi-manubri della semi carenata e di pedane meno arretrate che rendono l'assetto di guida meno caricato in avanti e dunque più adatto alle trasferte urbane ed extraurbane. Con le versioni S ci si trova a proprio agio nella guida più aggressiva, potendo contare su di un assetto che carica maggiormente l'avantreno e su di un cupolino che permette di tenere medie elevate anche sui percorsi autostradali.

Scendendo in pista, sia con la S che con la naked, nelle versioni 650, si nota immediatamente un miglioramento nel comportamento dinamico rispetto alle versioni precedenti. Il telaio più rigido unito alle sospensioni tarate meglio, garantiscono un comportamento estremamente equilibrato alle due SV che dimostrano di essere estremamente equilibrate nell'uso in pista (per il comportamento su strada aspettiamo a dare un giudizio.…che sarà molto probabilmente positivo).

Per le 650 il motore spinge forte fino all'intervento del limitatore intorno agli 11.000 giri, mettendo in mostra di essere estremamente potente ed elastico oltre che a vibrare poco.

La frenata potente e modulabile, non viene meno anche dopo parecchi giri "tirati", ed è ben assecondata dall'avantreno, che a differenza del modello precedente non affonda in modo "sfrenato", ma che permette di avere sempre una buona sensibilità durante tutta la percorrenza della curva.
Un leggero vantaggio lo possiamo dare alla versione S, che grazie al cupolino fornisce un discreto riparo dall'aria, per il resto le moto reagiscono in modo simile.

Il cambio, si comporta in maniera egregia, seguendo i comandi del guidatore senza "scherzi" di alcun genere.

Nel complesso le due SV, si possono definire con una sola parola, sincere. E' la sensazione ricavata dopo questo breve assaggio, che ha permesso di inquadrare queste due 650 nella categoria delle due ruote riuscite sotto tutti i punti di vista, facili ma al tempo stesso efficaci, con un look moderno ed un prezzo competitivo.

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Ultima modifica di LoZioTazio il ven 01 ott, 2004 5:53 am, modificato 2 volte in totale.

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