«Bernie, ottimo lavoro! Ma il cambiamento arriva in ritardo. Mister Carey, in bocca al lupo per far tornare la F1 di nuovo a splendere». Nel tweet di Nico Rosberg sta il sunto e il senso di quanto accaduto lunedì. Parole forti quelle del campione del mondo in carica appena ritiratosi. Non inquinate da compromessi, paure o interessi. Parole pronunciate da un pilota che sa perfettamente che cosa ha lasciato e conosce nel dettaglio ciò che troveranno i nuovi proprietari americani: un ricco sport che sta morendo.
Perché il manager ottantaseienne che aveva reso la F1 un business da oltre otto miliardi di dollari (tanto l'hanno pagato gli uomini di Liberty Media del tycoon John Malone) era da anni troppo temuto per trovare validi consiglieri nel proprio ambiente e potente, ma solo, per ovvi motivi di anagrafe non è stato più in grado di interpretare le richieste delle nuove generazioni appassionate di motori. Complici i suoi sudditi, i top team, Ferrari in testa, essendogli debitori per come aveva fatto lievitare la torta di questo sport. Infatti il teatrino era sempre lo stesso: le squadre brontolavano a turno, facevano la voce grossa a turno, ma alla fine, come per magia, scoppiava la pace non appena sul piatto arrivava la gustosa fetta dei ricavi accresciuta del giusto. E poco importa se certe idee erano ormai al limite del ridicolo: qualifiche shoot out, punti doppi all'ultimo Gp, quelle cose lì. Un'intesa per pochi eletti che Ecclestone ha sempre gestito magistralmente, permettendo ai grandi di restare grandi, impedendo ai piccoli di crescere e consentendo agli ultimi arrivati, se pieni di soldi, di poter diventare grandi. Vedi la Red Bull.
Questo sistema adesso finirà. Chase Carey vice di Liberty Media, presidente della nuova F1 e, da lunedì, anche ceo al posto di Ecclestone, ha tratteggiato in modo chiarissimo il futuro del Circus made in Usa. «Vogliamo che sia un evento sportivo e spettacolare come il Superbowl, vogliamo 21 Superbowl e che ogni Gp offra una settimana di spettacoli e musica. Negli ultimi anni la F1 è cresciuta poco ha proseguito -, le sponsorizzazioni erano legate a una persona sola, nessuno si occupava del marketing; ci sono prodotti dove il marchio F1 neppure esiste e questo sport è fuori dai digital media... Abbiamo star, auto incredibili, dobbiamo solo raggiungere meglio la gente, avvicinare i tifosi ai piloti... Hamilton è famoso ma solo fuori dagli Usa, mentre una volta si parlava di Schumacher».
Questo il nocciolo del progetto. Perché più show vuol dire più pubblico e quindi più sponsor e più ricavi. Da qui la nomina a capo del settore sportivo della nuova F1 di Ross Brawn, vecchia conoscenza di Ferrari e Mercedes, uomo di sport e di trucchi, chiamiamole magie, sportivi. Sapeva scovare diavolerie tecniche per rendere più veloci le sue auto, saprà trovarle per rendere più spettacolari le corse. Al suo fianco, con pari poteri, Sean Bratches, ex vice direttore del marketing di Espn che avrà il compito di rendere più appetibile e più Superbowl la F1.
Tre uomini, Carey ceo («non sarò un one man show»), Brawn e Bratches per sostituirne uno: Ecclestone. Tre uomini e due certezze per la Ferrari: aumenteranno i Gp negli States (Carey parla già di un cittadino a New York o Los Angeles o Miami o Las Vegas) e questo la farà felice; però si ridurrà o scomparirà il ricco bonus (90 mln di dollari) che percepisce in quanto team presente dal 1950 (lo ricevono, più contenuto, anche gli altri top team). E questo la farà imbestialire a meno che non la convinca Greg Maffei, uomo di fiducia di John Malone, e ceo di Liberty Media: «Una più equa ripartizione dei ricavi garantirebbe maggior crescita per tutti». Con Ecclestone via e più spettacolo i nuovi capi puntano però a ottenere un altro risultato: che colossi rimasti alle porte del Circus come Audi e Nissan decidano di entrare in F1. Sarà bello per gli appassionati. Sarà brutto per la Ferrari che già oggi fatica a risorgere.
_________________ Lo Zio Tazio
"Io vi daró tutto ... basta che non domandiate nulla!"
|