Da Moto Magazine numero 4 del 20 ottobre
Cosa ha ucciso la Moto Guzzi?
Claudio Porrozzi e Giuliano M. Turtur
Dal genio di un perito tecnico (Carlo Guzzi), dalla passione di un giovane ed ardimentoso pilota di moto (Giovanni Ravelli), e dai capitali di un rampollo di una famiglia di armatori genovesi (Giovanni Parodi), la Moto Guzzi inizia nel 1921 la sua ascesa all’Olimpo del motociclismo prima nazionale e poi internazionale.
La Moto Guzzi Sport 14 del 1930
Modelli geniali nelle soluzioni tecniche, con una grande affidabilità, tanto da raccogliere i primi allori proprio nelle gare di durata chiamate all’epoca Raid, la Guzzi in poco tempo diventa la moto più ricercata dai piloti, in virtù di un costo assai ridotto in confronto a quello delle rivali di allora Triumph, Velocette, Rudge, Excelsior, Indian e Harley Davidson.
Passano gli anni ed una guerra mondiale, ma la Guzzi passa indenne o quasi la crisi che necessariamente porta un conflitto come la seconda Guerra Mondiale. Le sue moto continuano inarrestabili a mietere vittorie su tutti i principali circuiti del campionato Europeo, (il mondiale verrà istituito nel 1951 ndr), ed anche nel settore delle moto di serie il Falcone Sport 500 cc, l’Alce 500cc. ed il Guzzino 75, iniziano a motorizzare l’Italia.
Guzzi Falcone
Nel 1957 nonostante le tante vittorie ottenute la Moto Guzzi, assieme alla Gilera, ed ad altre Case italiane, decide di abbandonare le corse.
E’ l’inizio della fine. Da realtà industriale capace di dare lavoro a migliaia di operai, di avere una galleria del vento ed un reparto corse di tutto rispetto, si trasforma lentamente ma inesorabilmente in un gigante dai piedi d’argilla, continuamente destabilizzato da una produzione ormai vetusta e dalle prime avvisaglie delle agitazioni sindacali che sfoceranno in pesanti scioperi negli anni Settanta, per non parlare della concorrenza soprattutto inglese, della Gilera e della piccola Ducati che pian piano prenderanno il posto della Casa di Mandello nei cuori degli appassionati di maxi moto. Le famiglie Parodi e Guzzi, di fatto i veri ed unici proprietari iniziano a vedere nubi scure all’orizzonte. Gli anni Sessanta si presentano per la Moto Guzzi come la fine di un’era e l’inizio dell’amministrazione controllata dello Stato (SEIMM).
È’ l’immobilismo totale: le vendite sono salve solo grazie alle numerose commesse per la fornitura dei mezzi ai corpi militari dello Stato.
V7 Special
A metà degli anni Sessanta arriva il primo bicilindrico a V longitudinale di 90 gradi. E’ destinato alla V7 Special e da quel motore. per un breve periodo, la Moto Guzzi risorgerà dalle sue ceneri, raggiungendo il culmine con la storica V7 Sport, Da quella base si sforneranno, poi, modelli storici come la serie Le Mans, il California e la SP. Sono ancora delle “vere” Moto Guzzi, solide e affidabili.
Nel 1973 arriva il salvatore (o presunto tale): Alejandro De Tommaso. Industriale italo argentino con il pallino dei motori, che acquisterà la Moto Guzzi, la Benelli e la Maserati a prezzi irrisori dallo Stato e riuscirà ad affossarle tutte e tre! Le moto tornano a vendere e si assiste a qualche apparizione, sporadica, sui circuiti di mezzo mondo. Sembra che tutto possa far presagire che l’orgoglio italico nelle due ruote, ed i capitali argentini abbiano compiuto il miracolo di far risollevare l’aquila nei cieli. Ma non è proprio così.
De Tomaso, si mostra subito intransigente sull’applicazione pratica di sue intuizioni nella produzione motoristica e sulla gestione al risparmio. Arrivano ammortizzatori vetusti, carburatori preistorici e trasmissione finale più adatta ad un trattore che ad un mezzo leggero a due ruote come la moto. Arriva la fusione della produzione Guzzi-Benelli, che realizza mezzi scopiazzati dalle prime moto giapponesi, ma con assemblaggi scadenti e prezzi non proprio all’altezza della concorrenza nipponica, bloccando di fatto la realizzazione di una versione “media” dei bicilindrici che vide la luce qualche anno dopo, ma in una versione “austera”.
Il mercato vuole moto potenti, leggere ed emozionali, che alimentino la voglia di ribellione e libertà. Non che i modelli sopra citato non andassero bene, anzi i Le Mans erano considerate dei bolidi, pesanti, ma dalla ciclistica granitica, e la California, addirittura fu utilizzata dalla polizia americana. Il modello Convert con cambio automatico, adatto alla scorta di personaggi politici, venne costruita sotto specifiche delle forze di sicurezza americane
850 Le Mans
Il problema erano la componentistica scadente (i telai che una volta erano al cromo-molibdeno, erano diventati di acciaio normale), gli impianti elettrici rappresentavano una vera e propria maledizione e cosi verniciatura e assemblaggi. In più il design delle Guzzi si basava su linee tese e spigolose, molto fuori moda in quel periodo, e su soluzioni tecniche volute ardentemente dal padre/padrone De Tomaso: ruote “simil-cross” da 18” per i modelli Le Mans e da 16” per i modelli T5. Una follia per quel tempo, quando tutte le altre moto montavano il cerchio da 17”, per avere una migliore maneggevolezza ed una larghezza della gomma adeguata alla potenza.
Lo zoccolo duro di appassionati ed estimatori dell’aquila, nonostante tutto, rimane, grazie anche ad una catena di vendita che copre quasi tutta l’Italia da nord a sud.
Siamo ormai agli anni Ottanta. Le moto tornano a vendere esigui numeri, ed in casa Moto Guzzi arriva la V65 Lario una moto che vedeva spesso una delle sue otto valvole scivolare dentro la camera di combustione! I debiti salgono e De Tomaso deluso di come sia andata questa sua avventura in Italia, vende i suoi gioielli. Solo la Moto Guzzi e la Maserati si salvano, mentre la Benelli è ormai ridotta ad un fantasma
850 T5
Arriva una cordata di banche e imprenditori del lago di Como a salvare il salvabile. La magnifica galleria del vento viene abbandonata, la gamma moto non viene rinnovata ed è di nuovo l’immobilismo più totale. Si sta lasciando morire un pezzo di storia del motociclismo. Si tenta di suscitare qualche interesse con la presentazione dell’interessante 1100 Sport, erede della mitica "sette e mezzo" degli anni Settanta, e degli altrettanto interessanti Daytona e Centauro con motore quattro valvole.
Il punto importante è che il propulsore, nonostante non abbia ricevuto alcun rinnovamento effettivo dalla sua presentazione, gode ancora di ottima fama come affidabilità. I numeri di vendita della California non sono mai mai scesi sotto le cinque mila unita all’anno!
Non si punta sul fascino del motore come ha fatto l’Harley Davidson e non si guarda più al campo delle corse per promuovere mezzi che stiano sullo stesso (o quasi) piano delle potenti giapponesi, come è riuscita a fare la Ducati. Opinione comune era che fosse meglio non seguire o sfidare i giapponesi sul loro campo, dimenticando che proprio la Guzzi fu pioniera nel settore maxi. Il risultato poi di questo tipo di politica di non analizzare il mercato e di non sviluppare ciò che di buono esisteva è davanti agli occhi di tutti.
V11 Sport
Nel 2000 arriva l’Aprilia che rileva la Moto Guzzi da un consorzio di investitori americani, che visti i deludenti risultati vendono ad Ivano Beggio. L’Aprilia come dal suo DNA, di casa prolifica di idee ed innovazioni, spinge sulla tradizione applicata a canoni stilistici e tecnici dei nostri giorni.
Si iniziano a costruire attorno al bicilindrico moto nuove nella componentistica e nell’immagine, capaci di far voltare la testa quando si passa. V11 Sport, Le Mans, Sport Cafè, Ballabio, Scura e il California iniziano a piacere ad un numero sempre maggiore di motociclisti, ma i numeri di vendita sono ancora esigui.
La ridotta disponibilità di capitali e la necessità di mantenere la struttura motoristica esistente (l’inequivocabile bicilindro a V frontemarcia) impedisce di rinnovare in breve tempo i propulsori e di sfruttare ciò per cui la Guzzi nacque settanta anni fa: le corse.
Nasce la Breva 750, un interessante proposta di moto facile e robusta con un prezzo abbordabile che immediatamente incontra il gradimento dei neofiti e delle donne; dalla geniale mente di Ghezzi,&Brian, preparatore di Guzzi per il campionato SuperTwins, escono la Griso e la MGS 01, gioielli che fanno ben sperare per il futuro.
Finalmente si capisce dove bisogna andare a parare per poter di nuovo far volare l’aquila di Mandello del Lario. L’entusiasmo dura poche stagioni: è storia recente quella della crisi Aprilia, venduta dal suo fondatore Ivano Beggio.
Moto Guzzi MGS01 Corsa
QUALE FUTURO?
Potrebbe essere molto roseo se ci fosse qualcuno che credesse nell’impresa. Certo oggi non è facile puntare sulle due ruote, ma come ha dimostrato la Piaggio si possono fare operazioni di rilancio e di risanamento gestionale. Il Marchio Moto Guzzi è un vero e proprio “status symbol” che può essere riproposto in mille modi (Ducati insegna), ma deve essere accompagnato da un prodotto di alta qualità, come aveva cominciato a fare l’Aprilia.
Innanzitutto va rinnovato ed aggiornato tecnicamente il motore e sia Piaggio che Ducati sono in grado di poter intervenire in questo campo. La Casa di Pontedera avrebbe poi la capacità industriale di produrli, lasciando a Mandello del Lario, forse soltanto una presenza simbolica, istituzionale.
Anche come ideazione di modelli i due competitors sono sullo stesso piano, purchè la Ducati torni a proposte più emotive (quelle che scatenarono emozioni non più ripetute come la 916 o la Monster), mentre per la Piaggio si tratta di una sfida nuova. I segmenti da aggredire come Guzzi sono, a nostro giudizio, quelli delle sportive con prodotti come la MGS-01 e quelli delle turistiche con l’evoluzione della California. Da non trascurare le “basiche” come la Breva. Insomma, i presupposti ci sono tutti, basta che qualcuno di decida...
UNA TRADIZIONE DA CORSA
La Moto Guzzi ha una lunga storia agonistica che terminò nel 1957 con il “gran ritiro” delle Case italiane. Prima di allora la Casa di Mandello aveva vinto sette titoli mondiali conduttori ed altrettanti Marche, nelle classi 250 e 350. Nella quarto di litro conquistò tre titoli costruttori negli stessi anni nei quali si imposero i suoi piloti: nel ’49 e nel ’51 con Bruno Ruffo e nel ’52 (Enrico Lorenzetti).
Nella 350 i titoli costruttori furono quattro, dal ’53 al 56, mentre i suoi piloti trionfarono nel ’53 e ’54 con l’inglese Fergus Anderson, nel ’55 e ’56 con l’altro inglese Bill Lomas e nel ’57 con l’australiano Keth Campbell.
In totale la Moto Guzzi ha vinto 45 gran premi così suddivisi: diciotto nella 250, ventiquattro nella 350 e tre nella 500.