Ho visto… Ho pensato…
Ho visto un uomo mostrare al mondo cosa significa essere un fuoriclasse.
L’ho visto zittire i pennivendoli che in malafede lo avevano sminuito per anni ed umiliare i faccendieri che per negargli quel che meritava hanno dimenticato di essere uomini a loro volta.
Ho visto un giovane Cavaliere uscire dall’ala protettrice di un Drago cui nessuno osava ribellarsi e tutti ritenevano invincibile affrontarlo armato di una semplice spada ed uscirne vincitore, perché il cuore di un drago batte solo insieme al cuore di chi lo cavalca.
Ho visto un vecchio Mago credere nel cavaliere e seguirlo in un’avventura senza domani.
Ho visto i vecchi Mandarini tronfi ed orgogliosi del loro drago inorridire ed avvizzire quando hanno capito che il fuoco che alimentava il drago bruciava nell’anima del suo Cavaliere e che il loro destino era di spegnersi con la loro creatura.
Ho visto i contadini che vivevano nel terrore del Drago fare del Cavaliere il loro paladino e ribellarsi al tiranno rischiando di esserne schiacciati per sempre. Li ho visti trepidare e piangere di gioia e ne sono felice, perché hanno creduto nell’uomo.
Ho pensato che sono fortunato: fortunato perché vedo la storia dello sport che amo mentre viene scritta; fortunato perché mi emoziono ad ogni curva di ogni GP per tante cose come vedere Nakano sul podio con la verdona; fortunato perché ho visto guidare il migliore di tutti i tempi fin da quando era bambino; fortunato perché un ragazzo italiano mi ha dimostrato con i fatti e non con le chiacchiere che anche in un mondo tecnologico, freddo ed assoggettato a logiche di profitto è sempre l’uomo che sceglie e condiziona il proprio destino.
C’era una volta un giovane Cavaliere, versato nelle arti della guerra e determinato a mettere la sua spada al servizio della propria fede.
Combatté e sbaragliò il campo molti luoghi, finché non si pose al servizio dei Mandarini che in virtù del suo valore lo misero a cavallo di un potente Drago.
Con il suo Drago, che amava come una donna bellissima, divenne inarrestabile in battaglia e fu proclamato campione del regno, guadagnandosi gloria ed onore insieme all’invidia di chi aspirava al suo titolo.
Per anni i pennivendoli raccontarono che a cavallo di quel Drago chiunque sarebbe stato invincibile e che vi era un altro eroe, un Re senza Corona, che avrebbe sconfitto il cavaliere in singolar tenzone, possibilità sempre negatagli dal destino in virtù dell’invincibilità del Drago. Neppure quando il Re senza Corona ed il Conte d’Ispania lo affrontarono a cavallo dei fratelli del suo stesso Drago, uscendone ancora una volta sconfitti, gli diedero pieno merito. Quel Drago, ci dissero, era comunque invincibile: primogenito per natura e rafforzato dagli incantesimi del mago Jeremino.
Per tutta la vita la buona sorte ha arriso al Cavaliere e mai conosceremo il suo vero valore perché mai è stato costretto a combattere fino all’ultima stilla di energia.
Ho pensato in quegli anni che la verità fosse davanti agli occhi di tutti: che bastasse vedere come quello che per altri era impossibile a lui riusciva naturale, e gli altri non erano plebaglia ma combattenti d’alto rango, primo fra tutti proprio il re senza corona. Eppure, incomprensibile, proprio dalla sua patria scrivevano i sui maggiori detrattori.
Giunse un giorno in cui i Mandarini, signori dei Draghi, ritennero le loro creature davvero invincibili e gli uomini che li cavalcavano dei semplici scudieri: “E’ il Drago a far grande il Cavaliere e solo un pazzo oserebbe ribellarsi”. Fu così che si consumò la rottura con il Cavaliere disposto a servirlo in battaglia ma non ad esserne il servo. “Non lascerà mai il drago: non ha le palle per farlo” tuonò il re senza corona ed i pennivendoli al suo seguito. Si sbagliavano ancora una volta, ed il Cavaliere e il mago Jeremino offrirono i loro servigi al clan Yamatzu, antica casata di nobili decaduti. Null’altro essi avevano da offrigli che il bizzoso cavallo da guerra Mjuan, definito da tutti debole ed ingovernabile, nonostante discendesse dal leggendario Yzfar destriero di quel Sir Wayne del Lago che tante vittorie portò agli Yamatzu. Il Cavaliere cominciò a coccolare Mjuan e a dormire insieme a lui, mentre il Mago Jeremino contribuiva alla preparazione del cavallo con incantesimi e pozioni. I profeti di sventura annunciavano catastrofi e prevedevano il dominio del Drago e dei suoi nuovi cavalieri.
Pensavo che sarebbe stata molto dura perché ci sarebbe voluto tanto tempo e tanto lavoro e che i pennivendoli avrebbero approfittato di quel tempo per raccontare che loro sì, avevano capito subito, senza lasciarsi ingannare dai mille e mille successi. Me ingenuo che ho sempre creduto che gli ordini d’arrivo contassero più delle opinioni.
E giunse il giorno della prima battaglia: sei draghi dalla corazza scintillante ed un cavallo bardato di giallo e blu. Al centro del campo si affrontano il Cavaliere ed il Re senza Corona. Finalmente le parti sono invertite: è il tempo della vendetta annunciata! Invece, dopo un epico duello senza respiro, è ancora il Cavaliere ad avere la meglio.
Mi sarebbe bastato questo! Il resto della stagione, 1000 anni di gare, 100 titoli mondiali: niente sarà mai uguale a quella gara. 43 minuti e 50 secondi per vaporizzare lustri di aria fritta ad arte e sbattere l’unica e semplice verità in faccia al mondo.
Ma una guerra non si vince in un giorno e le battaglie si susseguivano come le stagioni. Il Cavaliere spingeva Mjuan oltre ogni limite ed il generoso cavallo scartava, si impennava, si girava ed attaccava come nessuno l’aveva mai visto fare. I Draghi volteggiavano potenti ed eleganti, mentre il cavallo talvolta scivolava nel fango o inciampava nelle asperità costringendo il suo cavaliere a sfoderare tutta la sua abilità. La guerra spinse i contendenti fino alla valle di Motegi dove si dice i Draghi abbiano il loro nido; fu una gran giornata per il Cavaliere e la guerra sembrò volgere verso un lieto fine.
In qualche gara la realtà ha superato la mia stessa fantasia, non tanto per i risultati che credevo possibili ma per il modo strabiliante in cui sono maturati. L’inferiorità tecnica ha costretto il Cavaliere a pescare a piene mani dal vaso del suo talento che anziché svuotarsi sembrava ogni volta offrire doni più belli.
Vi sono uomini che accettano la sconfitta a testa alta e consegnano la loro spada al vincitore guardandolo negli occhi o lo affrontano un’ultima volta rischiando tutto ciò che hanno per ribaltare la sorte avversa; ve ne sono altri che, ritenendo la vittoria più importante dell’onore, si nascondo nell’ombra per tramare e colpire alle spalle chi non hanno saputo sconfiggere sul campo di battaglia.
Fu così che i Mandarini avvelenarono il Cavaliere e, per coprire il misfatto, dileggiarono il mago Jeremino ed il Marchese De Pons accusandoli di lanciare malefici sul campo di battaglia. Il Cavaliere, con il veleno nel cuore, combatté con il coraggio di sempre ma fu una disfatta e le sorti della guerra tornarono incerte.
Credo si oramai chiaro a tutti che il team Pons ed il team Yamaha hanno violato il regolamento. Non credo sia invece chiaro che, non essendo Fiorani o un membro del team che egli rappresenta (HRC) testimone dei fatti, il suo reclamo non poteva essere accettato. Credo sia superfluo dire che quando un regolamento non specifica una pena, tale pena debba essere stabilita in termini di equità, e che un intervento su un comportamento sempre lasciato impunito non può essere una pena esemplare ma semplicemente limitarsi ad annullare ogni vantaggio e dissuaderne la reiterazione.
A farmi imbestialire in quanto ho letto ed ascoltato in quei giorni è che solo pochi hanno evidenziato che il reclamo di HRC non aveva lo scopo nobile di imporre il rispetto del regolamento, ma quello molto più basso ed immorale di aggrapparsi ad un cavillo per alterare l’esito della competizione offendendo profondamente i valori alla base dello sport: confronto tra uomini e rispetto dell’avversario.
Il tradimento degli amici può cambiare un bianco cavaliere in un nero vendicatore. Fu così che la furia del Cavaliere si abbatté sul Drago senza tregua né mercede. Il Drago ferito a morte fuggì fino in capo al mondo, ma il Cavaliere non si contentò di vederlo morire e, mettendo in gioco in pochi secondi la vittoria costruita in un anno di dure battaglie si infilò senza scudo in mezzo ai suoi artigli e lo trafisse al cuore con una stoccata di indescrivibile purezza e precisione. La battaglia si fermò e tutti, amici e nemici, gli resero omaggio mentre il palazzo dei mandarini sostenuto dal potere del Drago crollava sulle loro teste seppellendoli con la loro presunzione.
“Santi Numi Sir Vale” – rise il mago Jeremino abbracciandolo – “Codesto cavallo è davvero MUCH BETTER”
Quello di Valentino Rossi è il mondiale più significativo di tutti i tempi per il suo messaggio antropocentrico. In un’era di tecnocrati e burocrati, che trova la sua massima espressione sportiva nella F1, questa è la vittoria dell’uomo sulla macchina, non nel senso della contrapposizione dell’uomo alla tecnologia ma dell’affermazione che la tecnologia è al servizio dell’uomo, che le macchine sono frutto del suo lavoro e che anche per una grande multinazionale la capacità di investire e credere negli uomini rappresenta la differenza tra successo e disastro.
Abbiamo anche visto Honda disposta a vendersi l’anima per comprare la vittoria, che nella società di oggi rappresenta un obiettivo fine a se stesso con un valore commerciale che esula dallo sport. Se Yamaha oggi osanna Rossi come eroe, dobbiamo purtroppo chiederci se, nel momento in cui fosse convinta di potere vincere senza di lui, non preferirebbe farlo con un pilota senza volto che non si prenda il 99% dei meriti.
La vittoria di Rossi su Yama, dodici anni dopo l’ultimo titolo di Wayne Rainey riannoda il filo della mia passione in un cerchio perfetto. Prima di Vale l’unico per cui abbia veramente tifato è stato proprio Wayne. Il suo incidente, che lo costringe su una sedia a rotelle, mi portò a seguire il motomondiale con freddezza finchè non fui abbagliato da un ragazzino che passava in posti impossibili e non toglieva mai il gas. Vale mi ha ridato il gusto per le gare che avevo perso in una via di fuga della pista di Misano e scoprire che proprio a lui è toccato il compito di ripetere le gesta di Rainey mi riempie di gioia. Ho anche pensato che se vedessi Vale girare su una biposto con Wayne come passeggero piangerei, e non me ne vergogno neanche un po’.
Sono arrivato, è inutile che cerchi di guardarmi con i tuoi occhi, in silenzio,
Sai bene dove voglio arrivare... Sarà impari, tu sei la somma ultima di ogni cosa.
Forse perirò o forse sarà il tuo turno... ma di sicuro... questa sarà la mia gloria"