dal MESSAGGERO
CARI GALLETTI SIAMO AL DUE A ZERO
di GIORGIO BELLEGGIA
CON la festa del Mondiale ancora nella testa, l’abbraccio alla Nazionale ancora addosso e l’urlo “Campioni” che ronza nelle orecchie, con tutto questo ancora sparso intorno ti piazzi davanti alla tv in un caldo pomeriggio di luglio e la gioia forte della notte di Berlino torna su quando meno te lo aspetti. Un altro pezzo di Italia, in tutti i sensi, emerge tra gli applausi in Germania. Non all’Olympiastadion, ma al Sachsenring, un paesino poco più grande dei box del circuito, un punto ad Est ai confini con la Repubblica Ceca. La MotoGp diventa un’appendice dei Mondiali di calcio. Perché Valentino Rossi parte undicesimo in griglia, vince, regala alla storia un’altra giornata fantastica e poi rallenta, si ferma, aspetta il complice tifoso e come da copione prende e indossa la maglia azzurra di Marco Materazzi. La Francia ha premiato Zidane nonostante la testata a Materazzi? Bene, ha pensato Rossi: e io mi metto la maglia del mitico Marco, tiè. Maglia classica, numero 23, non quella che già gira con la faccia di Zidane stampata sul petto come fosse la Sacra Sindone. Altro schiaffo alla Francia.
Rossi vive a Londra, da ricco e famoso, ma come ha detto ieri al nostro giornale rinuncerebbe ad una pole per una “carbonara”. E’ pur sempre un italiano all’estero, quindi aggrappato come tanti al filo della Nazionale che più ti lega alle origini, all’Italia. E in più c’è l’Inter, di cui è tifoso da sempre. Frequenta poco San Siro, ma è pur sempre fanatico e attaccato alla sua Inter più o meno come alla Yamaha. I festeggiamenti dei francesi intorno a Zidane, invece di condannare il gesto, devono avergli fatto girare ancora di più la manopola del gas ieri al Sachsenring. E prima a spingerlo ad apparecchiare lo show con la maglia numero 23. Materazzi ha visto tutto, si è commosso, l’ha chiamato subito per ringraziarlo di slancio ed augurargli di confermarsi campione del mondo.
Materazzi e Rossi sono amici, anche se in fondo in comune hanno parzialmente l’altezza, la passione interista e un modo di essere atleti abbastanza distante dagli schemi classici e applicato a sport diversi e lontanissimi tra loro. Rossi non gioca al calcio neppure sotto minaccia e Materazzi del rider ha forse solo i tatuaggi. Si stimano, però, con il sottofondo nerazzurro che li unisce.
La vittoria di Rossi ieri in Germania è una vittoria, come ha detto ieri nella nostra intervista, di uno che parla alla moto e il bello è che si capiscono alla perfezione: lei, la Yamaha, ogni tanto gli mette il muso e lui in prova è solo undicesimo. Poi, in gara, quando il rapporto è sotto pressione, la coppia torna perfetta: ”Po-po-po, che giornata ragazzi”.
E non è finita. Poche ore dopo l’Italia batte ancora la Francia e stavolta in casa sua, a Magny Cours, duecento chilometri sotto Parigi, e non c’è neppure bisogno dei rigori. Ci teneva da matti, la Régie, a vincere nello stadio della velocità e invece nel rettilineo che porta ai box sbuca il musetto sorridente della Ferrari di Michael Schumacher. Il danno e poi la beffa: inno nazionale tedesco e poi inno nazionale italiano cantato a squarciagola dai meccanici Rossi nella tana della Renault, la macchina che più rappresenta l’orgoglio sciovinista. A Domenech fa meno male della finale di Berlino, ma fa lo stesso due a zero per l’Italia
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