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 Oggetto del messaggio: Ma insomma ....
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chesadafapecampà!
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... oggi comincia o non comincia la fine del mondo?

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Lo Zio Tazio

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El Mariachi
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E chi ha paura dei buchi neri? :uffa:

Anzi, ben posizionati mi piacciono anche..... :checcevoifa:


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chesadafapecampà!
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Davvero non hai paura di essere risucchiato in un buco nero? :-o

:loool:

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chesadafapecampà!
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da Newton.it



Stephen Hawking, il più grande esperto al mondo di buchi neri, lo ha previsto a pagina 14 di questo numero: c’è una probabilità di 1 a 20 che tra pochi mesi si possano produrre buchi neri in laboratorio.
I voracissimi «inghiottitoi» che divorano tutto quanto se ne sta in giro dalle loro parti erano stati finora confinati dagli scienziati a distanze cosmiche di sicurezza: il più vicino è al centro della nostra Galassia, a 26.000 anni–luce da noi, e quando finirà (forse) per succhiare tutta la materia della Via Lattea compresa la sua inquilina di periferia, la Terra, noi non saremo da un pezzo più qui a preoccuparcene.

La previsione di Hawking, condivisa da molti altri scienziati, li sposta invece molto più vicino. E precisamente accanto alle montagne del Giura, la catena montuosa tra Svizzera e Francia che ha dato il nome all'epoca d’oro dei dinosauri, il giurassico. Lì, a circa 100 metri sottoterra, c’è una specie di dinosauro circolare di metallo lungo 27 chilometri sul quale i tecnici del Cern di Ginevra ora stanno montando gli ultimi componenti.
È il Large Hadron Collider, LHC, il più potente acceleratore di particelle mai realizzato. Entrerà in funzione l'anno prossimo, facendo scontrare adroni, cioè protoni e antiprotoni, accelerati alla velocità della luce fino a raggiungere energie di 7 TeV. In altri termini, ciascuno dei due fasci di adroni che ruotano nell'anello di LHC in senso opposto avrà un’energia di circa 350 Megajoule (350 milioni di joule), la stessa di un Eurostar da 400 tonnellate che viaggia a 200 chilometri all'ora, sufficiente nel nostro mondo macroscopico a far fondere di colpo mezza tonnellata di piombo.
La differenza, nel mondo ultramicroscopico delle particelle, è che questa energia viene confinata in dimensioni infinitesime. Viste le energie in gioco, raggiunte dall’universo solo nei suoi primissimi istanti della sua esistenza, un trilionesimo di secondo dopo il Big Bang, Hawking e gli altri scienziati ritengono assolutamente possibile che si possano creare buchi neri all'interno di LHC, al ritmo di uno al secondo. E nessuno potrà sottrarsi all’idea di immaginare titoli di giornale quali: «Buco nero artificiale fugge dal laboratorio e divora Ginevra».

Gli addetti ai lavori però sdrammatizzano. Quasi tutti. Ma non si era detto che per fare un buco nero occorrevano masse gigantesche, tanto che neppure il nostro Sole si sarebbe mai potuto trasformare in uno di questi aspirapolvere cosmici?
«Dal punto di vista dell'astrofisica è vero», confermano i fisici francesi Aurélien Barrau e Jules Grain dell’Università Joseph Fourier di Grenoble in un lavoro pubblicato dalla rivista scientifica dello stesso Cern. «Nel cosmo si possono formare solo buchi neri di masse svariate volte quella del nostro Sole. Ma ora si ritiene possibile creare buchi neri microscopici anche negli acceleratori di particelle».
In effetti, questa eventualità non contraddirebbe la Teoria della Relatività generale di Einstein.

Qualsiasi corpo può diventare un buco nero, se si ha la possibilità di comprimere la sua massa a livelli inverosimili: la Terra dovrebbe occupare lo spazio di una biglia e anche un essere umano (o ciò che ne resterebbe) potrebbe avere questa sorte, se la sua massa venisse ridotta nella dimensione di un elettrone.

La prospettiva di creare buchi neri in laboratorio, tuttavia, non era mai stata presa in considerazione fino a pochi anni fa. Si riteneva che per creare mini buchi neri in un acceleratore occorresse una massa non inferiore a 10 microgrammi, quella di un granello di polvere. Ma per crearla attraverso lo scontro di particelle sarebbe stata necessaria un’energia di 10 milioni di miliardi di Teraelettronvolt, ottenibile solo in acceleratori grandi come tutta la Via Lattea.
Quindi, nessuno, giustamente, si preoccupava di una simile eventualità. Ma le nuove teorie sull’esistenza di altre dimensioni nell'universo, rivelabili solo a piccolissima scala, fanno ora ritenere possibile produrre mini buchi neri in acceleratori con energia di alcuni Teraelettronvolt. «I 14 Teraelettronvolt che si sviluppano nel centro di massa–energia di due particelle che si scontrano in LHC possono trasformare l’acceleratore in una fabbrica che produce un buco nero al secondo», confermano i fisici francesi.
E ci si pone allora la domanda: c’è il rischio che questi 86.400 mini buchi neri prodotti ogni giorno possano cominciare a mangiare l’acceleratore un protone dopo l'altro e poi piano piano inghiottire Ginevra, la Svizzera e in ultimo tutto il Pianeta? La domanda non è una semplice provocazione giornalistica.
Gli scienziati se l’erano già posta nel 2000, quando negli Stati Uniti iniziò a funzionare l’acceleratore RHIC, con energie però molto inferiori a LHC. Tanto che Robert Jaffe, fisico teorico del Mit di Boston, affermò che i timori legati alla formazione dei buchi neri «devono essere presi in seria considerazione ogni volta che uno strumento apre una nuova frontiera di energia».

Lo stesso Cern, al momento di varare il progetto LHC, ha istituito una commissione di esperti proprio per valutare tutti i possibili rischi legati agli esperimenti che arriveranno a livelli di energia mai raggiunti prima in un laboratorio. E i risultati sono tranquillizzanti. «Abbiamo considerato», dice il rapporto finale della commissione, «tutti gli oggetti potenzialmente pericolosi che potrebbero essere teoricamente prodotti da LHC, fra cui i buchi neri. Non abbiamo trovato alcuna ragione plausibile di rischio». Resta da chiedersi, allora, perché i buchi neri artificiali sarebbero così mansueti.
Stephen Hawking ha la risposta pronta: i mini buchi neri vivrebbero al massimo per un centomilionesimo di miliardesimo di miliardesimo di secondo e poi evaporerebbero senza alcun danno. Sa bene di cosa sta parlando perché la teoria in base alla quale i buchi neri possono evaporare emettendo energia è sua. E risale addirittura agli anni ’70.

È una teoria che ha reso gli scienziati molto più ottimisti sul futuro dell'universo. Prima di allora si riteneva che un buco nero avrebbe continuato a divorare la materia intorno a sé, aumentando sempre più le proprie dimensioni, fino a che nell’universo non sarebbe rimasto più nulla da mangiare. Il cosmo si sarebbe trasformato in un solo, enorme buco nero.
La possibilità di evaporare, invece, non solo rende i buchi neri più «umani», soggetti anch’essi alla vita e alla morte, ma allontana l’eventualità che quelli creati in laboratorio possano fare danni. E comunque, spiega a Newton Massimo Giovannini, fisico teorico del Cern, «le energie raggiunte da LHC non sono sufficienti alla formazione di buchi neri stabili».
C’è quindi, secondo lo scienziato, una «barriera di protezione» fisica che LHC non è in grado di sfondare. «Noi fisici», prosegue Giovannini, «siamo tutti convinti della teoria di Hawking.
Il fenomeno che conduce all'evaporazione dei buchi neri si fonda sulla nostra conoscenza della Relatività Generale e della Meccanica quantistica e in questo senso possiamo dire che l’evaporazione dei buchi neri è una certezza». Le teorie scientifiche, così, sdrammatizzano.
Ma paradossalmente, la creazione dei mini buchi neri in LHC sarà proprio il mezzo per capire se queste teorie funzionano. E anche molto di più.

Per questo gli scienziati sono così eccitati. Per la prima volta si potrebbe dimostrare sperimentalmente la teoria della gravità quantistica, dato che i mini buchi neri sarebbero le più piccole strutture possibili nello spazio–tempo, tali da permettere il verificarsi degli effetti della gravità quantistica, teoria che molti considerano come l'unica che potrà condurre all’unificazione delle quattro forze fondamentali della natura. Per la fisica sarebbe un traguardo eccezionale.
Per Stephen Hawking vedere un buco nero evaporare, come da lui predetto, sarebbe il coronamento di tutta la sua vita da scienziato. Speriamo che abbia ragione.

di Giovanni Siniscalchi (ha collaborato Paola Catapano)




01 dicembre 2006

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facile scherzare voi che siete dall'altra parte dell'atlantico e venite risucchiati dopo.... :-D :-D :-D


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chesadafapecampà!
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Il testo di questa pagina è preso interamente e senza alcuna modifica dal libricino della conferenza del Dott. Italo Mazzitelli del 20 Gennaio 1996 riproposta da "POLARIS", il giornale dell'Associazione Tuscolana di Astronomia"



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I Buchi Neri



Introduzione: lo spaziotempo

Il concetto di "buco nero" non è, in fisica, particolarmente misterioso. Di certo, ci sono ancora moltissime cose che non comprendiamo su questi strani oggetti, ma ce ne sono anche moltissime che comprendiamo, alcune delle quali possono anzi essere spiegate anche in modo piuttosto semplice. L'unico concetto chiave che ci occorre è quello di "spaziotempo". Si tratta cioè di capire che lo spazio ed il tempo così come siamo1 abituati a percepirli - e cioè separati ed indipendenti, visto che nello spazio ci si può muovere a piacimento in ogni direzione, mentre il tempo ha una natura più sfuggente e sembra in un certo senso trascinarci con sé anche a nostro malgrado - sono solo due facce della stessa medaglia al punto che, nelle condizioni estreme che si incontrano in prossimità dei buchi neri, possono addirittura scambiare il loro ruolo reciproco. Cominciamo da lontano.

Galileo Galilei, nella prima metà del '600, pose le basi della scienza fisica mostrando che il concetto di "spazio" è relativo all'osservatore. Ad esempio, una persona che passeggi avanti e indietro sul ponte di una nave finirà per tornare sempre a quello che - secondo lui - è il punto di partenza. Per chi osserva dalla terraferma, invece, la stessa persona non farà che allontanarsi progressivamente assieme alla nave. Il concetto di "tempo". invece, era per Galileo - e per i suoi successori fino ad Einstein - un concetto assoluto. Se l'osservatore a terra e quello in moto avessero sincronizzato i loro pendoli alla partenza della nave e, dopo un po', qualcuno avesse sparato con un archibugio, entrambi gli osservatori avrebbero contato, all'istante dello sparo, un ugual numero di oscillazioni. Tutto ciò a noi sembra intuitivo, e non abbiamo difficoltà a comprenderlo. Purtroppo, la Natura ha scelto di operare in modo più complicato, e non possiamo fare altro che prenderne atto. Come fece appunto Einstein nel 1905 allorché, pubblicando il suo "Saggio sull'Elettrodinamica dei Corpi in Moto" (che è nient'altro che la Teoria della Relatività Speciale), fu costretto a concludere che anche il tempo è relativo. Come a dire che, se i due osservatori di Galileo avessero eseguito le due misure di tempo in modo estremamente accurato, si sarebbero accorti che i due pendoli non erano più rigorosamente sincronizzati come alla partenza. E non a causa del rollio e beccheggio della nave, ma semplicemente a causa della differenza di velocità tra i due osservatori.

Il fatto sperimentale che condusse Einstein ad una conclusione che, al contrario di quella di Galileo, non ci sembra affatto ovvia, fu l'assoluta costanza della velocità della luce. Cerchiamo di essere più chiari.

Senza bisogno di tanti ragionamenti sappiamo che, se viaggiamo in auto a cento chilometri all'ora, e sulla corsia opposta giunge un'altra auto che viaggia alla stessa velocità, nel momento in cui le due auto si passano accanto la loro velocità relativa è pari alla somma delle due velocità, e cioè duecento chilometri all'ora. Analogamente, sembrerebbe che se due fotoni (o raggi di luce, se preferite, viaggianti ciascuno alla velocità della luce (d'ora in poi semplicemente c) si incontrassero provenendo da due direzioni opposte, la loro velocità relativa dovrebbe essere 2c. E invece non è vero; la loro velocità relativa resta sempre c. Questo apparente controsenso viene spiegato da Einstein nel seguente modo: sappiamo che la velocità è definita come la quantità di spazio percorsa in un certo tempo. Ebbene, se per due osservatori che si muovono l'uno rispetto all'altro gli orologi non procedono con lo stesso ritmo, ecco che è possibile - lavorando di fino con la matematica - che la velocità relativa di due osservatori in moto non sia più semplicemente la somma delle due velocità, ma un qualcosa di un po' più complicato, che tra l'altro non può mai superare il valore c. La chiave di tutto è dunque proprio nel fatto che, così come già lo spazio per Galileo, anche il tempo - da Einstein in poi - e misurato in modo diverso da osservatori che si muovono in modo diverso l'uno dall'altro.

Da qui il concetto di "spaziotempo", inteso come una unità in cui ciascuna delle due componenti influenza l'altra. Da qui anche il ruolo chiave giocato dalla velocità della luce la quale, forzando spazio e tempo ad interagire tra loro, ed a modificarsi a vicenda pur di rimanere costante essa stessa, assume un ruolo chiave di valore universale.

Una volta accettata l'idea che sia lo spazio che il tempo siano "relativi", nel senso che la loro misurazione fornisce risultati diversi ad osservatori diversi, si può percorrere un passo ulteriore: non sarà per caso possibile misurare sia lo spazio che il tempo con le stesse unità di misura? Per esempio, in metri'? La risposta è affermativa.

Il trucco è il seguente: sappiamo che le distanze si misurano in metri, mentre i tempi si misurano in secondi. Le velocità, d'altronde, si misurano in metri/secondo (o in chilometri/ora, ma in ogni caso come un rapporto tra distanze e tempi). Se dunque moltiplichiamo un tempo per una velocità, otteniamo una distanza.

E' un po' il procedimento inverso a quello che eseguiamo quando cerchiamo di capire quanto tempo impiegheremo, su autostrada, ad arrivare da un casello all'altro, supponendo di poter mantenere una certa velocità media. Se dallo svincolo di Roma Nord a Bolzano ci sono 650 chilometri, e se riusciamo a mantenere una media di 100 Km/'ora, saremo a Bolzano sei ore e mezza dopo che siamo entrati in autostrada. Ribaltando il concetto, se un amico ci dice che ha impiegato sei ore e mezza per arrivare a Bolzano, sempre viaggiando a 100 Km/ora, non abbiamo difficoltà a trasformare il tempo di percorrenza in una distanza: il nostro amico ha percorso 650 chilometri.

Solo che, applicando questo concetto alle leggi della natura, non possiamo sottostare ai capricci del ministro dei trasporti, il quale può imporre limiti diversi di velocità, o a quelli delle organizzazioni sindacali degli autotrasportatori, che possono imporre una manifestazione di categoria con incolonnamenti lungo il tratto appenninico, e via discorrendo. Se vogliamo trasforniare tempi in distanze con validità assoluta, dobbiamo disporre di una velocità assoluta anch'essa, che non possa essere modificata per decreto legge, per richiesta di sgravi fiscali e via discorrendo.

Per fortuna, questa velocità esiste, come abbiamo appena visto. E' proprio la velocità della luce c.. Dunque, moltiplicando un intervallo di tempo per c, trasformiamo quel tempo in distanza in modo assoluto. Questa equivalenza tra tempo e distanza mediata attraverso la velocità della luce è il concetto che si trova alla base della Teoria della Relatività Speciale, ed interviene anche in quella Generale che, come vedremo tra poco, è nient'altro che una teoria della gravitazione ben più perfetta di quella di Newton. Ma adesso basta con le premesse, e cominciamo a parlare di buchi neri, anche se prenderemo il discorso un po' alla larga.



I buchi neri secondo Newton e Laplace.

Il buco nero è un fenomeno legato alla gravitazione. Conviene dunque cominciare dalla Legge di Gravitazione Universale di Newton, la quale afferma che, se si hanno due oggetti aventi ciascuno una cena massa, essi si attraggono tra loro con una forza che è tanto maggiore quanto maggiore è il prodotto delle due masse, e tanto minore quanto è la distanza che li separa, elevata al quadrato. Così, se raddoppiamo la massa di uno dei due oggetti, la forza tra di loro raddoppia. Se invece li allontaniamo tra di loro fino a distanza doppia, la forza diminuisce di quattro volte.

In base a questa legge, è possibile spiegare tutti i moti astronomici osservati fino all'inizio del XX secolo, tutte le misurazioni eseguite su oggetti pesanti alla superficie terrestre, tutto quello che abbia attinenza con la forza di gravità. E fisici, astronomi e i matematici si sono sbizzarriti, nei secoli, ad applicarla ai casi più disparati. Una delle applicazioni più "esoteriche" della teoria newtoniana della gravitazione fu quella, eseguita indipendentemente da Michell e da Laplace verso la fine del '700, ad ipotetici oggetti di massa enorme.

Conoscendo la massa di una configurazione di materia che, per semplicità, supporremo di forma sferica, è infatti possibile calcolare quale deve essere la velocità minima -detta velocità di fuga- con cui un qualsiasi altro oggetto debba essere scagliato dalla superficie della sfera, se si vuole che esso non ricada giù, ma continui ad allontanarsi all'infinito. Nel caso della terra, ad esempio, tale velocità è di 11,2 Km/sec.

Ebbene, Laplace calcolò che, se esistesse un oggetto celeste avente la densità dell'acqua, ed il cui raggio fosse paragonabile a quello dell'intero sistema solare, la velocità di fuga dalla superficie ditale oggetto sarebbe stata pari a quella della luce. Dunque, non potendo neppure la luce sfuggirne, tale oggetto sarebbe stato assolutamente oscuro. L'equivalente newtoniano del buco nero, in un certo senso. Ad ogni modo, visto che all'epoca il concetto aveva al più un interesse filosofico, l'idea non ebbe seguito. Rispuntò fuori solo nel 1916, ed in un contesto ben diverso. Bisogna a questo punto aggiungere che, come la maggior pane delle teorie fisiche, anche quella della Gravitazione Universale conteneva già fin dall'inizio i germi della sua stessa distruzione. E, cosa ancora più notevole, lo stesso Newton ne era ben conscio, al contrario di molti fisici di epoche successive. Il problema verteva sulla "azione a distanza".

"Come è mai possibile" si domandava infatti Newton "che due corpi celesti distanti tra loro si scambino quella qualità che viene definita forza e che, nella normale sperimentazione terrestre, vediamo scambiare solo tra oggetti a contatto? Se io spingo con la mia mano un oggetto, questo è sottoposto ad una forza, ma qual è la mano invisibile che spinge il sole e la terra l'uno verso l'altra?"

Domanda molto intelligente. Alla quale per quasi due secoli gli scienziati riuscirono a fornire solo risposte sciocche. L'unico indizio di una spiegazione intelligente, che anticipava in modo ancora confuso quella di Einstein, fu fornito sempre dallo stesso Newton il quale, verso la fine della sua vita, cominciò a pensare che, forse, il vuoto possedesse, nei confronti della massa, un qualcosa di analogo a quello che è l'indice di rifrazione' che il vetro possiede nei confronti della luce. Come la luce cambia percorso passando dall'aria al vetro o all'acqua, anche le masse mutano continuamente la loro traiettoria nel vuoto. In un modo o nell'altro, si eliminava il concetto di forza a distanza, per sostituirlo con una proprietà locale del vuoto in cui si muovono i corpi celesti.



Einstein e la curvatura dello spazio tempo.

Torniamo ora all'equivalenza tra spazio e tempo, attraverso la velocità della luce. "Non sarà possibile" si chiese Einstein "inserire in questa equivalenza anche la massa? Avendo già ridotto il tempo a spazio, se riuscissimo a ridurre a spazio anche la massa, dovrebbe poi risultare facile studiare le leggi della natura per mezzo della scienza che studia lo spazio: la geometria".

Ma era più facile a dirsi che a farsi. Alla fine, Einstein ci riuscì, ma impiegò dieci anni, e dovette studiare molta più geometria di quanto avesse previsto. Infatti, per poter trattare anche la gravitazione come pura e semplice geometria dello spaziotempo, risultò che quest'ultima entità non solo doveva essere a quattro dimensioni (tre spaziali ed una temporale, cosa che già ci sembra abominevole quando cerchiamo di visualizzarla con l'intuizione) ma - orrore - addirittura "curva" !

Eppure, con un po' di pazienza, si può mandare giù anche quest'ultima oscenità. Cominciamo con un caso familiare di geometria curva. La Groenlandia è più grande o più piccola dell'Australia?

Se guardiamo un planisfero da parete, che di solito viene disegnato secondo la cosiddetta "Proiezione del Mercatore", la Groenlandia è almeno grande quanto l'Australia, se non di piu'. Passiamo adesso ad un normale mappamondo sferico; l'Australia ha una superficie che è almeno il triplo di quella della Groenlandia. Come stanno in realtà le cose? Quale sarebbe la conclusione di un topografo che andasse a misurare queste due regioni del mondo con fettuccia metrica e teodolite?

Non abbiamo bisogno di misure per saperlo: la terra è sferica, e quindi sarà il mappamondo a dire la verità. Ed infatti, così è. Ma allora, perché i planisferi vengono disegnati in modo così ingannatore? Ecco che siamo arrivati al concetto di geometria curva: il tavolino su cui stendiamo la mappa è piano: se disegniamo un triangolo su questo tavolino, la somma degli angoli interni sarà sempre 1800, qualunque sia la forma del triangolo. La superficie terrestre, invece, non è piana, ma sferica. Se disegniamo un triangolo su una sfera... ma un momento: come si disegna un triangolo su una superficie non piana? Come fanno i lati ad essere segmenti di retta? Anzi: addirittura, come diavolo può esistere una retta su una superficie non piana?

Non può esistere. La "retta" come siamo abituati a concepirla esiste solo nella geometria di Euclide, che studiamo a scuola e che è appunto la geometria piana che si disegna a tavolino. La geometria che si può disegnare sulla superficie di una sfera non è euclidea. Come scoprì Einstein con disappunto. In geometria "sferica" è senz'altro possibile disegnare triangoli. ma prima bisogna definire qualcosa di analogo alla retta della geometria euclidea.

L'analogo della retta è una curva (che prende il nome di "geodetica") che mantiene quella che è la proprietà fondamentale della retta: congiungere due punti secondo il percorso di minore distanza. Giochiamo un po' con una sfera, e ci renderemo conto immediatamente che le curve che godono di questa proprietà sono gli archi di cerchio massimo. Nel caso di un mappamondo, dunque, i meridiani e l'equatore. Ora abbiamo imparato a tracciare triangoli su un mappamondo. Poniamo uno dei vertici sul polo nord, e tracciamo un segmento che segua un meridiano qualsiasi fino all'equatore. A questo punto, pieghiamo di 90° e seguiamo l'equatore fino ad un altro meridiano a nostra scelta, e quindi pieghiamo nuovamente di 90° su quest'ultimo meridiano fino a raggiungere il punto di partenza sul polo nord. Abbiamo ottenuto un angolo in geometria sferica Quant'è la somma degli angoli interni di questo triangolo? Certamente superiore a l80°, visto che già i due angoli all'equatore sono di 90° ciascuno, e poi c'è da sommare l'angolo tra i due meridiani al polo nord. Per di più, è facile rendersi conto che, al variare del meridiano scelto per tornare al polo, anche la somma degli angoli interni del triangolo varia. Studiando a lungo, scopriremo che sulla superficie di una sfera si possono eseguire operazioni geometriche analoghe a quelle della geometria euclidea, come ad esempio definire un qualcosa di analogo al teorema di

pitagora, ma che per esprimere matematicamente anche le più semplici di queste operazioni geometriche bisogna ricorrere ad espressioni complicatissime da scrivere e da calcolare.

Per fortuna di Einstein, già nell'800 Gauss, Riemann ed altri matematici avevano sviluppato l'algebra necessaria a trattare geometrie non euclidee qualsiasi e, per sua ancor maggiore fortuna, il suo amico Poincaré era uno specialista in queste geometrie, e fornì ad Einstein un aiuto insostituibile, al punto che sarebbe forse corretto dire che la Teoria della Relatività Generale è,almeno per un 30%, da attribuirsi a Poincarè. Una cosa che sembra dimenticata da tutti.

Con tenacia - ed avvalendosi dell'aiuto di Poincarè -Einstein, nel corso di un decennio, sviluppò dunque la sua nuova teoria della gravitazione, che è appunto la Teoria della Relatività Generale. In essa, il problema della "forza a distanza" viene risolto in maniera così elegante che, malgrado l'astrusità dello schema matematico (pochissimo familiare per i fisici dell'inizio del '900), fu chiaro a tutti che le cose non potevano andare diversaniente, ed il consenso fu subito molto ampio, prima ancora che, nel 1919, Eddington dimostrasse che uno degli effetti previsti dalla nuova teoria - ma non ancora osservato - si verificava puntualmente. Ridotto all'essenziale, il contenuto della Relatività Generale può essere espresso come segue: a distanza infinita da qualsiasi massa, la geometria dello spaziotempo è piana. Dunque, le "geodediche" sono linee rette e, se un oggetto si trova a percorrere queste regioni, esso procederà all'infinito a velocità costante, e lungo una linea retta. Detto in altri termini, questo oggetto non percepirà alcuna "forza".

Se però immergiamo una "massa" nello spaziotempo, questa massa perturberà la geometria locale, curvando lo spaziotempo, che non sarà più "piano". In particolare, la presenza di una massa renderà la geometria dello spaziotempo somigliante a quella "sferica" che, nel caso bidimensionale, abbiamo già incontrato quando abbiamo imparato a disegnare un triangolo sul mappamondo. In due dimensioni si possono disegnare modellini della curvatura spaziotemporale, e della "forza" equivalente, Il problema è che, trattandosi dello spaziotempo, non abbiamo più a che fare con due dimensioni, come nel caso di una carta geografica, ma con quattro, di cui tre sono le normali dimensioni geometriche, e la quarta è il tempo (moltiplicato per c). Come si fa a visualizzare con l'intuizione una cosa del genere, quando abbiamo già dovuto faticare un pò con sole due dimensioni? E cosa significa che anche il tempo si curva? Nel corso degli anni, alcuni dei più noti relativisti, tra cui Penrose e Wheeler, sono riusciti ad escogitare dei modellini semplici, basati su piani di gomma sui quali si appoggiano sfere di piombo, ascensori in caduta libera attraverso il centro della terra e così via, che aiutano molto a capire i concetti di base, anche se all'atto pratico nessun modello intuitivo riesce a descrivere la pienezza della teoria. Sta di fatto che, in uno spaziotempo curvo, le geodetiche non sono più linee rette, e qualsiasi oggetto in moto, anche se non riceve nessuna spinta, seguirà le linee curve della geometria locale. Il campo gravitazionale, dunque, non è costituito da "forze a distanza"; esso consiste semplicemente in una curvatura dei "binari" (sia spaziali che temporali) lungo i quali si muovono i corpi. Ecco che anche la massa, oltre al tempo, è stata ricondotta a pura e semplice geometria, anche se in un modo molto più complesso di quello che Einstein stesso avrebbe pensato quando iniziò a studiare la gravitazione.



Un patriota prussiano in trincea

Appena un mese dopo la pubblicazione della Teoria della Relatività Generale, un soldato prussiano partito volontario per il fronte, macinando equazioni a lume di candela tra un assalto e l'altro, riuscì a trovare una soluzione esatta per le equazioni di Einstein nel caso di una massa a simmetria sferica. Scrisse immediatamente ad Einstein, il quale fu favorevolmente impressionato dalle capacità del giovanotto, e dalla interpretazione fisica della soluzione. Purtroppo, Karl Schwarzschild, il patriota matematico, mori pochi mesi dopo a causa di un'infezione contratta in trincea. Non ebbe quindi la soddisfazione di veder riconosciuta ufficialmente la "superficie di Schwarzschild", che è la denominazione ufficiale di quel che spesso definiamo come "superficie di non ritorno" o, più impropriamente, "buco nero".

La superficie di Schwarzschild è imparentata strettamente con gli oggetti oscuri di Laplace. E' anch'essa la superficie alla quale la velocità di fuga è pari a c, e dalla quale nessun oggetto o segnale fisico può più sfuggire. Anche numericamente, il raggio della superficie di Schwarzschild si calcola come il raggio dell'oggetto oscuro di Laplace, ma le somiglianze finiscono qui. Il buco nero, è infatti qualcosa di veramente orribile. Mentre l'astro di Laplace poteva - in teoria - essere composto di materia ordinaria, anche se in quantità immensa, nulla può resistere all'interno del buco nero. Tutto ciò che vi entra è disintegrato e svanisce nel nulla, lasciando dietro di sé solo il suo fantasma: il campo gravitazionale. Cerchiamo di comprendere meglio la natura di questo mostro cosmico. Ci guiderà la geometria dello spaziotempo.

Se la Terra ruota stabilmente attorno al Sole, è perché essa segue - inerzialmente, ovverosia senza essere soggetta a forze - la geodetica locale, così come quest'ultima è determinata dalla presenza della massa del Sole. Questo è quanto afferma la Relatività Generale. Immaginiamo ora il seguente esperimento: poniamoci ad una distanza dal sole pari a quella dell'orbita terrestre, e "depositiamo", per così dire, un oggetto qualsiasi nello spazio, senza imprimergli alcuna velocità. Cosa farà questo oggetto?

In termini della vecchia teoria newtoniana della gravitazione, diremmo che l'oggetto, sotto l'azione della forza di gravità che il Sole esercita su di esso, comincia a cadere verso il sole accelerando continuamente. E non c'è dubbio che, finché consideriamo separatamente lo spazio ed il tempo, le cose vadano appunto in questo modo.

La Relatività Generale, però, afferma che non esistono forze a distanza. Se questo è vero (ed è vero!), come mal il corpo lasciato a sé stesso comincia a muoversi, ed accelera cadendo verso il Sole? Non dovrebbe forse limitarsi a seguire la geodetica locale? Risposta: è proprio quello che il corpo fa, solo che la geodetica locale non sta ferma, ma cade continuamente verso il Sole.

Se troviamo difficile questo concetto, è perché ci ostiniamo a considerare separatamente spazio e tempo. Se invece ci decidiamo ad accettare che anche il tempo può incurvarsi, ci rendiamo conto che, "posizione" e "movimento" sono solo due modi diversi (per noi) di manifestarsi dello stesso fenomeno. Qualsiasi massa non fa altro che continuare a "succhiare" in eterno lo spaziotempo verso di sé, ed è proprio questo risucchio che noi indichiamo come "forza di gravità".

Ed ecco che siamo arrivati al concetto di superficie di Schwarzschild. Se un oggetto è talmente massiccio e concentrato da succhiare nella sua direzione lo spazio-tempo con una velocità che, ad una certa distanza dall'oggetto stesso, raggiunge il valore c, ecco che nulla potrà più sfuggire alla sua gravitazione, neppure la luce, una volta che quel limite sia stato superato.

Corollario di quanto sopra: una volta che un qualsiasi frammento di materia abbia attraversato la superficie di non ritorno, il trascinamento dello spaziotempo non potrà fare altro che far sprofondare quell'oggetto fino al centro del buco nero, laddove la velocità di trascinamento è infinita, ed il malcapitato frammento si annullerà in un punto geometrico di dimensione zero. Alla domanda: "cosa c'è dentro i buchi neri?" la risposta è dunque: nulla! Solo spaziotempo a curvatura sempre crescente, e gravità che sale fino all'intinito. Non certo materia, a meno ché la superficie di Schwarzschild non ne abbia appena ingoiato un pezzo, e questo stia freneticamente attraversando la poca distanza che lo separa dall'annullamento totale!

Nulla da eccepire che, una volta ammessa l'esistenza di un buco nero, le cose, al suo interno, vadano a questo modo; è però possibile - in primo luogo - che un buco nero esista veramente? Non sarà soltanto un gioco matematico molto complicato, che l'universo reale si rifiuta di giocare, lasciando ai matematici la responsabilità di cimentarvisi?

A quest'ultima domanda, si possono dare almeno un paio di risposte: una di principio, ed una pratica. Quella di principio è basata sul cosiddetto "principio totalitario della fisica" il quale afferma: tutto ciò che non è vietato è obbligatorio. Che vuol dire: se il verificarsi di un qualche fenomeno fisico non è esplicitamente vietato dalle leggi di natura, esiste certamente qualche tempo e/o luogo dove quel fenomeno si verifica. Non è una cosa scritta sui libri di fisica, ma non credo che esistano al mondo due fisici che non ci credono ciecamente. L'altra risposta è molto più banale: l'Universo è pieno di buchi neri, semplicemente perchè li "vediamo" (in senso lato, s'intende) e perché le stesse leggi di natura che governano la struttura delle stelle, e che ormai sappiamo maneggiare in maniera soddisfacente, impongono che, in alcuni casi, la morte di una stella sia accompagnata dalla nascita di un buco nero. Seguiamo proprio la strada dell'evoluzione stellare per spiegare come hanno origine alcuni tipi di buchi neri.



Vita, morte e dannazione di una stella

Abbiamo visto nel numero precedente che parlare in termini di "forza di gravità" e di "geometria dello spaziotempo curvo" è, in linea di principio, equivalente. A volte una delle due descrizioni è più comoda ed intuitiva; per esempio, parlando di stelle normali - come il Sole - le cose si capiscono più in fretta parlando di gravità, ed è quello che faremo in questo paragrafo, pur mantenendo sempre il contatto con la geometria. Solo verso la fine, la geometria riprenderà a fare la parte del leone.

Le stelle, dunque, nascono da nubi diffuse di gas e polveri, che cominciano a cadere verso il loro baricentro sotto l'azione della gravità. in queste prime fasi nebulari, in cui la massa totale coinvolta non è inferiore a circa un decimo di quella solare, e non superiore a cinquanta o cento volte quella del Sole, mentre la densità è molto bassa (poche decine di atomi per centimetro cubo) la gravità è ancora debole, ed anche la curvatura dello spaziotempo è appena accennata.

Col passare del tempo, la materia si addensa in una sfera che si scalda, finché al centro di questo agglomerato la temperatura raggiunge all'incirca dieci milioni di gradi, che servono per avviare le reazioni nucleari di fusione dell'idrogeno. E' nata una stella. La curvatura dello spaziotempo è più accentuata poiché la densità sta crescendo, ma anche nelle zone centrali della stella, tale curvatura è ancora molto modesta, rispetto a quella necessaria a generare un buco nero.

Tanto per fare un esempio, è noto che il raggio di Schwarzschild del Sole è di circa tre chilometri. Questo significa forse che al centro del sole, in una sfera di tre chilometri di raggio, esiste un buco nero? Niente affatto! C'è un po' di curvatura spaziotemporale, ma il buco nero si formerebbe solo se TUTTA la massa del sole fosse condensata all'interno di quei famosi tre chilometri. Allora sì che la curvatura dello spaziotempo sarebbe abbastanza potente. Ma seguitiamo con la vita della stella.

Durante il periodo in cui l'idrogeno si trasforma in elio, la contrazione della stella sotto l'azione della sua gravità si arresta, poiché le forze di pressione agenti all'interno dell'astro riescono a bilanciare il peso degli strati esterni. Quando però l'idrogeno centrale è del tutto esaurito, la stella ricomincia a contrarre.

Scorriamo brevemente le fasi successive della vita di una stella di massa molto grande, da dieci volte quella solare in su. Sono infatti queste le stelle che, morendo, esplodono come "supernovae" lasciando come residuo - in alcuni casi - un buco nero.

L'elio, che è la cenere lasciata dal bruciamento dell'idrogeno, si infiamma a sua volta quando la temperatura supera i cento milioni di gradi, lasciando come ulteriore cenere carbonio ed ossigeno. A sette-ottocento milioni di gradi, prende fuoco anche il carbonio trasformandosi in neon e magnesio; la stella è in condizioni critiche, la sua densità centrale aumenta a dismisura, e così pure la curvatura spaziotemporale, ma ancora ce la fa a stare su.

A circa due miliardi di gradi brucia l'ossigeno ed, in tempi che ormai si misurano non più in milioni di anni, ma in minuti o addirittura secondi, violente combustioni nucleari successive portano il nucleo della stella ad essere composto quasi totalmente di ferro. Qui entriamo in fase critica. Quando infatti prende "fuoco" anche il ferro, è per la stella il momento cruciale. La combustione nucleare del ferro, infatti, anziché generare "calore" come tutte le combustioni che l'avevano preceduta, "raffredda" il nucleo della stella. Le forze di pressione che, fino a quel punto, avevano tenuto su la struttura, cedono all'improvviso, ed il nucleo della stella rovina su se stesso.

Quando ciò avviene, le parti più esterne della stella (quelle ancora ricche di idrogeno, elio e così via) esplodono e vengono scagliate via nello spazio con un lampo dirompente - l'esplosione di supeinova -, mentre le parti interne precipitano verso il centro, In un piccolo volume, si trova improvvisamente condensata una massa enorme, e la curvatura spaziotemporale salta su. Se la massa di questo nucleo e' inferiore a circa tre masse solari, la configurazione ancora ce la fa a stabilizzarsi sotto forma di "stella di neutroni", un pelo prima che la curvatura raggiunga il limite di non ritorno; le "pulsar" sono proprio stelle di neutroni in rapida rotazione. Se la massa è maggiore, il destino è segnato. Il nucleo seguita a cadere su se stesso, la curvatura si approfondisce, e quel che resta della stella viene fagocitato dalla superficie di Schwarzschild. E' nato un buco nero.

Che i buchi neri esistano, ce lo dicono le osservazioni. Esistono per esempio stelle doppie, osservando la cui orbita siamo in grado di calcolare la massa delle componenti. In alcuni casi, una delle componenti è invisibile mentre, se fosse una stella normale, dovrebbe essere ben brillante! Se la massa di questa compagna invisibile è superiore a tre masse solari, questa deve essere un buco nero, come viene spesso confermato dall'emissione di raggi X e gamma da parte della materia che il buco nero succhia all'altra stella e che, prima di venire divorata, spiraleggia attorno al buco nero scaldandosi. Ci sono poi i nuclei galattici, compreso il nostro. Osservazioni

in varie bande dello spettro indicano che, al centro delle galassie di maggiore dimensione, agiscano macchine dotate di una potenza terrificante, dalle dimensioni molto piccole, ma dalla massa enorme. Nel centro delta nostra galassia, ad esempio, un buco nero avente la massa di un milione di soli crea un inferno di radiazione fagocitando le stelle che, imprudentemente, gli passano accanto. Per altre galassie, si parla di buchi neri da uno a dieci miliardi di masse solari. E' verosimile che, in quelle galassie, la furia scatenata dai buchi neri centrali raggiunga anche le zone periferiche; ci si chiede se, in tali casi, sia possibile incontrare condizioni in cui possa svilupparsi la vita, anche sui pianeti più periferici.


Buchi neri "da laboratorio"

Da quanto abbiamo detto finora, dovrebbe essere chiaro che i buchi neri sono oggetti da tenere a debita distanza. La teoria ci fornisce però i mezzi concettuali per studiarli, per così dire "in laboratorio", come se potessimo tenerti sotto una campana di vetro, osservare a piacimento le loro reazioni a perturbazioni di ogni genere, quello che accade agli oggetti che vi si avvicinano, ed il tutto senza sporcarci (o rimetterci) le mani.

Immagine

Cominciamo con qualche curiosità. Sapete che i buchi neri, malgrado il loro nome, sono più riflettenti di una sfera perfettamente riflettente? Vediamo perché. Una sfera totalmente assorbente (e cioè dipinta di nero) viene illuminata da un fascio di luce i cui raggi sono perfettamente paralleli. La sfera assorbirà tutta la luce, e non ne rinvierà affatto, restando invisibile. Una sfera opaca (come ad esempio la luna) rinvierà in tutte le direzioni un po' di luce e, se l'osservatore si trova a 90° rispetto al fascio di luce, vedrà un "quarto di sfera". Se invece la sfera è perfettamente riflettente, egli vedrà un punto luminoso, immagine della sorgente.

Ora, sostituiamo la sfera riflettente con un buco nero di uguali dimensioni. Poiché i raggi di luce che passano accanto al buco nero vengono deviati, l'osservatore posto a 90° vedrà non una, ma due immagini della sorgente, una a destra ed una a sinistra del buco nero.

Ancora; entriamo di notte nel laboratorio, e non ricordiamo se, la sera prima, abbiamo lasciato sotto la campana di vetro la sfera riflettente o il buco nero. Gli puntiamo sopra il fascio della torcia elettrica. ed abbiamo immediatamente la risposta: la sfera. riflettente ci rinvia il punto luminoso immagine della torcia; il buco nero deflette i raggi di luce che gli passano vicini, e ce li rimanda indietro. E' veramente il colmo che un oggetto così diabolico si presenti con un'angelica aureola! Ma adesso basta con l'osservazione da laboratorio.

Scendiamo in campo con la nostra astronave; mettiamoci in orbita attorno ad uno dei giganteschi buchi neri al centro di una galassia, ed inviamo al suo interno un'astronave, con un robot suicida che ci descriva le sue osservazioni mentre si avvicina alla superficie di Schwarzschild. Purtroppo, non potrà riferirci quello che gli avverrà dopo aver oltrepassato il punto di non ritorno, ma già così avremo delle sorprese! In primo luogo, l'osservatore esterno vede sul monitor le immagini trasmesse dall'interno dell'astronave che si avvicina alla superficie di Schwarzschild. Il robot saluta agitando la sua mano meccanica multiuso ma, quando si trova ormai in prossimità della superficie fatale, le immagini cominciano ad arrivare rallentate, ed il segnale si indebolisce. Da ultimo, l'immagine resta praticamente "congelata", e la sua intensità svanisce esponensialmente, al punto che non è sufficiente il più potente amplificatore di segnali per riuscire a captare ancora qualcosa.

Lo strano è che, secondo i calcoli dell'osservatore esterno, la sonda avrebbe già dovuto trovarsi da un pezzo all'interno del buco nero, quando ancora vengono percepite le ultime immagini, ormai ferme. Cosa sta succedendo?

Pensandoci bene, diventa tutto chiaro. Via via che l'astronave si avvicina alla superficie di Schwarzschild, le onde elettromagnetiche emesse subiscono sempre di più il trascinamento dello spaziotempo, e quindi, in un certo senso, impiegano più tempo a staccarsi dal veicolo ed a giungere all'osservatore. Le ultime onde emesse proprio sulla superficie di non ritorno, sono destinate a restare in eterno in un limbo in cui cercano di rimontare, alla velocità della luce, uno spaziotempo che si muove in direzione opposta e con la stessa velocità. E' infatti vero che la luce si muove - rispetto allo spaziotempo con velocità sempre costante, ma è anche vero che la luce si muove "con" lo spaziotempo.

Ecco il motivo dell'apparente paradosso, secondo cui un osservatore esterno vede che un oggetto che si approssima alla superficie di Schwarzschild "rallenta" all'infinito, pur diventando sempre più fioco (visto che i fotoni che riescono a sfuggire hanno energia progressivamente sempre minore, avendone speso la maggior parte per risalire la corrente spaziotemporale, come salmoni cosmici. Per quanto possa sembrarci strano, qualsiasi cosa cada in un buco nero impiega - vista da "fuori" - un tempo infinito per raggiungere la superficie di non ritorno.

Veniamo ora al povero robot, per il quale non è invece accaduto nulla di strano mentre attraversava la "buccia" del buco nero, visto che il suo orologio sta ticchettando sempre con lo stesso ritmo. Siccome egli sta viaggiando in caduta libera, non percepisce alcun peso, proprio come gli astronauti in orbita attorno alla Terr. Ma... un momento: anche se non si tratta di un vero e proprio peso. il robot percepisce lo stesso una forza di qualche genere. E' una forza che tende ad "allunggarlo". Infatti, visto che nel preciso centro geometrico di un buco nero la gravità va all'infinito, essa varierà molto rapidainente da un punto all'altro, nelle sue vicinanze. Dunque, la parte del corpo del robot più vicina al buco nero subisce una forza di attrazione molto maggiore (o, se preferite, in quel punto lo spazio è risucchiato più velocemente) che non la pane più lontana. Si tratta di nient'altro che di una forza che conosciamo anche sulla terra, e di cui è responsabile la Luna: forza di marea, ma amplificata in modo terribile Questa forza di marea cresce all'infinito avvicinandosi al centro del buco nero, cosicché ad un certo punto il povero robot si troverà la testa staccata dalle spalle, e subirà un progressivo smontaggio lungo l'asse che lo congiunge radialmente alla "singolarità" centrale (quando la fisica incappa in un infinito, anziché dirlo esplicitamente, preferisce usare questo termine più elegante, che lascia però trapelare il sospetto che ci sia qualcosa di poco chiaro, sotto...). Poco più avanti, i rottami del robot, sempre per forza di marea, vengono scissi in molecole ed atomi. Poi i nuclei vengono strappati dagli elettroni, ed i protoni e neutroni dai nuclei, quando la forza di marea, ormai quasi al centro, prevale anche sulle forze nucleari. I protoni vengono quindi spezzati in quark, e chissà se questi ultimi vengono a loro volta frammentati dalla marea, prima di annullarsi al centro. Povero robot!

Fermo restando che nessun oggetto materiale entrato in un buco nero può sfuggire a questo destino, esistono però dei casi (appunto i buchi neri di grandissima massa, milioni di volte quella solare, attorno ad uno dei quali ci siamo posti in orbita) in cui lo smontaggio mareale è dilazionato fino agli ultimi istanti, ed il robot potrebbe eseguire osservazioni per qualche tempo, dopo essere entrato nella superficie di Schwarzschild. In primo luogo, il robot si accorgerebbe che, mentre nulla e nessuno può modificare il suo moto in direzione del centro, poiché il risucchio spaziale lo attira in modo del tutto irresistibile, una spinta dei razzi laterali potrebbe ancora consentirgli di spostarsi lateralmente. Fin qui niente di strano. Se inoltre stesse precipitando assieme ad altri oggetti, vedrebbe anche che qualsiasi oggetto, indipendentemente dalla sua massa, forma, colore, sapore e così via, viene trascinato verso il centro esattamente come lui; non più velocemente o più lentamente. Anche qui niente di strano, sennonché il robot ha improvvisamente un'idea.

"Al di fuori della superficie di Schwarzschild" pensa il robot "il tempo trascina ogni cosa nella stessa direzione ed alla stessa velocità, ma ci si può muovere a piacimento nello spazio. Qui dentro, invece, ci si muove tutti nella stessa direzione ed alla stessa velocità nello spazio. Vuoi vedere che, invece, ci si può muovere a piacimento nel tempo?"

Applicando la Teoria della Relatività Generale, il robot scopre che, se per caso riuscisse a schivare la singolarità centrale girandole attorno, ed a schizzare fuori dalla superficie di Schwarzschild in un'altra direzione da quella di partenza, effettivamente sarebbe riuscito -a seconda della traiettoria seguita - a muoversi avanti o indietro nel tempo! Ma non rispetto al suo orologio, che avrebbe seguitato ad andare avanti con la stessa velocità; rispetto al resto dell'Universo.

"Se ci riuscissi" pensa ora il robot "non ritenterei quest'avventura suicida". Ma ormai non può farci nulla; lo spazio ha la meglio su di lui, e nessun'orbita fisicamente percorribile è in grado di impedirgli di andarsi ad annullare sulla singolarità, portando con sé la sua scoperta.

Portandola con sé mica tanto, perché lo sperimentatore esterno, messo in allarme dall'anomalo comportamento del tempo in prossimità della superficie di Schwarzschild, ha eseguito anche lui un po' di conti, ed è giunto alle medesime conclusioni. Per un istante, gli si accappona la pelle, ma poi gli viene in mente qualcos'altro, e tira un respiro di sollievo. Tutti salvi (tranne il povero robot)!

Cos'ha pensato lo sperimentatore? In primo luogo, si è reso conto che, se un viaggio all'indietro nel tempo fosse realmente possibile, tutta la scienza fisica andrebbe in fumo. Infatti, ogni legge fisica conosciuta e, verosimilmente, conoscibile, afferma cose del tipo: "partendo da questa causa, si giunge a questo effetto". In altri termini, la validità assoluta del principio di causalità non può essere messa in dubbio (anche perché, prima ancora di essere applicato alla fisica, questo principio regola la pura e semplice logica, ovvero la nostra stessa facoltà di pensare). Perfino la meccanica quantistica, che da alcuni è spacciata -a torto- come una violazione della causalità, ne è al massimo una "complicazione", mai una violazione in senso stretto.

Detto in soldoni: se io torno indietro nel tempo ed uccido i miei genitori prima della mia nascita, chi ha causato la loro morte, visto che io non posso esistere? Per chi medita seriamente una cosa del genere, raccomando di uccidere entrambi i genitori, e non solo il padre; non si sa mai...

Ma torniamo al fisico inorridito: questi si rasserena immediatamente pensando: "un momento: si può viaggiare nel tempo solo dopo essere entrati in un buco nero, e chi lo ha fatto non può più tornare indietro nell'Universo esterno a spezzare la trama della causalità. Grazie al Cielo, il tentativo di violazione della Legge di Causalità è punito con la morte per annullamento su un buco nero, ed esiste una Censura Cosmica, costituita proprio dalla superficie di Schwarzschild, che impedisce che una simile oscenità, anche se perpetrata da un suicida, sia visibile dall'esterno." Ha ragione costui? La risposta è: "nì".



Tutto scorre e... tutto gira!

Uno dei più grandi (o forse il più grande e basta) fisico contemporaneo, Stephen Hawking, costretto ormai dalla sclerosi multipla a poter muovere solo un dito sulla tastiera di un computer, ma ancora in grado di ragionare meglio di tutto il resto dell'umanità, si è di recente convertito ai viaggi nel tempo. dopo averli combattuti per decenni a suon di equazioni. Cosa gli ha fatto cambiare idea? Cerchiamo di spiegarlo in modo ultrasemplificato (ed un po' improprio).

La Terra ruota attorno al suo asse ed attorno al Sole, il quale ruota su sé stesso ed attorno al baricentro della galassia, e così via. La rotazione è un fenomeno diffuso in ogni angolo dell'universo, ed anche le stelle che, esplodendo, danno origine ai buchi neri, ruotano, Non sarà che, per caso, la rotazione può avere influenza su un buco nero?

La risposta è affermativa. Anche se tutto ciò che cade in un buco nero viene annientato senza che resti memoria della sua struttura, esistono tre "qualità" che non si perdono: la massa (che determina la dimensione del buco nero), la carica elettrica, e la rotazione.

La carica elettrica, però, non giuoca - per quel che ne sappiamo oggi - un ruolo importante nei buchi neri. Infatti, se supponiamo di far ingoiare ad uno di questi oggetti una gran quantità di cariche elettriche di uno stesso segno, ne resteranno in giro altrettante di segno opposto ed, in breve tempo, l'attrazione elettrostafica esercitata dal buco nero carico le richiamerà, neutralizzando la carica iniziale.

La rotazione, invece, può essere molto importante. Quella che noi chiamiamo impropriamente 'forza centrifuga" è infatti, sempre nel contesto della Relatività Generale, una proprietà della geometria spaziotemporale anch'essa, e come tale va trattata. Dunque, la struttura di un buco nero rotante sarà diversa da quella di un buco nero non rotante, visto che il primo dei due - oltre a risucchiare al suo interno lo spaziotempo - se lo trascina anche attorno come una giostra cosmica.

La differenza è importantissima. Se ne accorgerebbe il robot suicida. precipitando in un buco nero rotante. Dopo aver attraversato la superficie di Schwarzschild, noterebbe che stavolta, oltre a cadere verso il centro, il fluire dello spaziotempo tende anche ad imprimergli un moto laterale. La spaziotempo non èsemplicemente risucchiato radialmente, ma ruota anche un po attorno al centro.

Via via che cade, la velocità di trascinamento rotatorio aumenta, finché non succede qualcosa di inatteso: il robot, aiutato dalla "forza centrifuga" (è un modellino concettuale molto irnproprio, ma può aiutare l'intuizione) dello spaziotempo, vince il risucchio gravitazionale e riguadagna in parte il controllo della sua astronave! Ha attraversato una seconda superficie peculiare, studiata dal matematico Kerr, ed ora la singolarità centrale gli appare non più come un punto geometrico che lo divorerà inevitabilmente, ma come un anello di spessore infinitesimo, ma di apertura non nulla. Manovrando con cura, il robot potrà passare attraverso l'anello ed evitare l'annientamento. Certo, questo non gli sarà di alcuna utilità, visto che in ogni caso non potrà comunque riuscire dalla superficie di Schwarzschild. Infatti, per fare ciò, i suoi propulsori dovrebbero essere in grado di spingerlo fino ad una velocità superiore a quella della luce, e ciò non è fisicamente possibile. Dunque, è ancora in trappola, ma rispetto al caso di un buco nero non rotante c'è già un miglioramento.

Dal punto di vista del robot, la cosa migliora ulteriormente se la rotazione del buco nero aumenta. Infatti, l'anello centrale si allarga, ed anche la superficie interna, quella in cui può manovrare, si dilata. Dal punto di vista del fisico che osserva dall'esterno lo svolgersi degli eventi, invece, la prospettiva diventa sempre più buia.

Infatti, al crescere della rotazione, il raggio della superficie di Schwarzschild non aumenta, mentre il raggio della superficie

che, per comodità, chiameremo "di Kerr" aumenta. Ad un certo punto, quest'ultima raggiunge quella di Schwarzschild, e le due si annullano a vicenda. Il robot è libero, e può tornare indietro a riferire allo sperimentatore tutte le sue esperienze in prossimità del buco nero, ma incontra subito qualche difficoltà, rendendosi conto che lo sperimentatore non è ancora arrivato, o che se n'è andato da un pezzo. Il robot ha viaggiato non solo nello spazio, ma anche nel tempo!

La singolarità centrale a forma di anello è ormai "visibile", viene definita "singolarità nuda", ed è di gran lunga l'oggetto più osceno di tutto l'Universo, visto che basta girarle attorno per viaggiare a piacimento nel tempo, senza più che il pietoso velo steso dalla superficie di Schwarzschild riesca a prevenire una evenienza così funesta.

Che in linea di principio la teoria della Relatività Generale consentisse l'esistenza di un simile mostro, si sapeva da tempo, ma molti fisici erano convinti che qualche tipo di "Censura Cosmica" continuasse a valere. Un'ipotesi era che, durante il collasso che porta il nucleo di una supernova a generare un buco nero, parte della rotazione andasse perduta per attrito, per espulsione di materia rotante, e via discorrendo. Le teorie più moderne, però, non sembrano lasciare spazio per questo palliativo: molte stelle di grande massa ruotano rapidamente e, cosa ancor peggiore, molti buchi neri assorbono materia dotata a sua volta di rotazione e quindi, col passare del tempo progressivamente anche la loro rotazione. Altri hanno provato a dimostrare che, sempre in base alla Relatività Generale, ruotare attorno ad una singolarità nuda passando attraverso l'anello sia vietato da una sorta di "frizione cosmica", per cui l'oggetto incriminato potrebbe magari esistere, ma non essere praticamente utilizzabile ai fini distruttivi della violazione del principio di causalità. Stephen Hawking sembra appunto essersi convinto che anche questa speranza che la stessa Relatività contenga in sé il germe di una censura cosmica è vana: in linea di principio, nulla si oppone ad un viaggio nel tempo.

E allora? Beh, forse è prematuro preoccuparsi. Singolarità nude a portata di mano non ce ne sono, almeno per ora, e nel frattempo i fisici potranno ancora perfezionare le loro teorie e sbizzarrirsi, Può darsi che prima o poi venga fuori questa benedetta censura cosmica, magari quando saremo riusciti a mettere assieme quei due mondi che ancora non si parlano tra loro: la gravitazione e la meccanica quantistica.

E, nel peggiore dei casi, c'è già una soluzione bella che pronta, anche se sembra un po' esoterica: non viviamo nell'Universo, ma nel "Multiuniverso". Ci sono infiniti "universi paralleli", da quelli praticamente identici al nostro a quelli completamente diversi, ed un viaggio nel tempo non porta nel passato dell'universo di partenza, ma nel passato di un universo parallelo. Là, non avremmo difficoltà concettuali ad uccidere i nostri genitori, visto che in quell'universo noi non esisteremmo, ma esisteremmo in quello di partenza, in cui i nostri genitori non sono stati uccisi da nessuno.

Bene, debbo dire francamente che, anche se in quest'ultimo modo la logica ed il principio di causalità sono fatti salvi, mi sembra un po' a rischio la salute mentale. Datemi pure del bacchettone, ma io preferisco una piccola quantità di sana, paternalistica, autoritaria e repressiva Censura Cosmica!.











Buchi neri e frontiere della fisica



I buchi neri generano intorno a sé dei campi gravitazionali così intensi che i fenomeni che si potranno osservare, metteranno a dura prova le leggi della fisica messe a punto per astri di modesta massa e con modesti campi gravitazionali.

Per esempio, sono ben noti questi globi celesti di dimensioni galattiche, di massa presumibilmente pari a quella di una galassia, cioè di miliardi di volte superiore ad una massa solare, ma non si sa ancora quale sia l'energia che li mantiene luminosi. Chi fornisce loro l'energia sufficiente per dilatarsi e mantenere l'elevata temperatura?

Inoltre molto spesso da certi quasar vengono proiettati dei getti giganteschi di materia ad una velocità molto vicina alla velocità della luce. Ciò significa che all'interno dei quasar hanno luogo delle esplosioni formidabili, ma nessuno conosce ancora il meccanismo esatto che libera l'energia sufficiente a produrre fenomeni così imponenti.

Una delle ipotesi formulate di recente è che al centro di questi grandi corpi celesti si trovino dei buchi neri di massa notevole, cioè di massa superiore ai cento milioni di masse solari e magari di qualche miliardo.

Se della materia cadesse nel centro di questi colossali buchi neri, anche se si trattasse di poche masse stellari, potrebbe liberare l'energia sufficiente a giustificare tali fenomeni. Tuttavia anche all'estremo opposto della scala delle dimensioni dei buchi neri ci si trova di fronte a leggi della fisica che da sole spiegherebbero fenomeni molto importanti, come l'"evaporazione" dei buchi neri.

Finora si è detto, e si crede ragionevolmente, che il buco nero sia la morte della materia dell'Universo; se la materia va a cadere in un buco nero, non solo non ha più la possibilità di comunicare per mezzo della luce col resto dell'Universo, ma non ha nemmeno più la possibilità di tornarne fuori e quindi vi rimarrà per sempre intrappolata. Di fronte ad una certezza così tragica i ricercatori si sono messi all'opera per vedere se non fosse possibile qualche fenomeno inverso.

Se delle particelle elementari entrano in un buco nero a velocità prossima a quella della luce, è possibile che ne escano estraendone una parte di energia.

E' un processo molto complicato, ma possibile, capace di estrarre energia dal corpo nero ma non materia, a meno che il buco nero abbia una massa relativamente piccola. Infatti la meccanica quantistica, cioè la meccanica degli oggetti di dimensioni submicroscopiche (per esempio quella che si applica alla perfezione alla struttura e alle leggi dell'atomo e del nucleo) insegna che una particella elementare che abbia un'energia troppo debole per superare una barriera di potenziale ha una maggiore probabilità di riuscire a superare la barriera stessa. Per esempio, se si lancia una boccia che rotola per strada fino ad arrivare ad un passo carraio inclinato, non riuscirà mai a salire su questo, se la sua velocità è bassa, ma se la sfera è microscopica e microscopica è anche la barriera che deve superare, anche se la sua energia è insufficiente, essa riuscirà in un certo numero, magari limitato, di casi a passare dall'altra parte. Ebbene, questo può accadere anche ad una particella che si trovi all'interno di un buco nero: in questa situazione potrà superare la barriera di potenziale gravitazionale e passare al di fuori. Questa teoria, che spiega la radioattività alfa, ossia l'emissione di particelle alfa da nuclei atomici pesanti (uranio e torio), applicata al buco nero, permette di valutare la dimensione massima che questo può avere affinché delle particelle microscopiche ne scavalchino la barriera di potenziale gravitazionale. Nel caso del buco nero il fenomeno è possibile, anzi è tanto più probabile quanto più piccolo è il buco nero. Per esempio per buchi neri dotati di una massa di 10alla16esima grammi, in pratica la massa di una piccola montagna, la probabilità è assai elevata. Se la massa è dieci volte inferiore, la probabilità diventa elevatissima. In particolare se la massa è di soli 10alla14esima grammi l"'evaporazione" delle particelle dal buco nero è tanto rapida che in pratica questo finisce col perdere tutte le particelle di cui è composto in una frazione di secondo. In sostanza, si tratterebbe di una formidabile esplosione. Tutta l'energia disponibile all'interno del buco nero si ritroverebbe al di fuori sotto forma di protoni molto energetici e di altrettanto energetici raggi gamma. Se dunque esistono questi buchi neri ed è possibile che buchi neri così leggeri si siano formati all'atto della nascita dell'Universo, questi sarebbero lentamente evaporati, ma giunti fino ad oggi, alcuni sarebbero così leggeri da evaporare rapidamente. Dunque, l'Universo potrebbe essere permeato da queste esplosioni, rivelabili sulla terra come un improvviso temporaneo aumento dei raggi gamma che provengono dal cosmo.

Ora pare che esplosioni di questo tipo avvengano effettivamente . Non si è ancora ottenuta una prova definitiva, ma si sta lavorando molto attivamente per confermare l'esistenza di tali esplosioni e metterle in relazione con quelle prodotte dall'evaporazione di buchi neri microscopici.

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beh io avrei il buco nero propio sotto di me.... :-o :??: :-o

ma io non mi preoccuppo :nono: :nono:


io uso clerasil ultra :x :cincin: :-D :oo:



Immagine



Clerasil Ultra :x

e non hai piu' paura dei buchi neri :x :cincin: :-D


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chesadafapecampà!
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Lo Zio Tazio

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Mr. Beer
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per primmo sara' il mio pizello :x :cincin: :-D

e ci mettera' 2 nanosecondi secondi ad esserre ri-succhiato (per me sono piu' che sufficienti :-D :oo: :-D :cincin: ) :-D :oo: :cincin:

poi sara' il momento della panza :x

che ci mettera' dei mesi ad essere risucchiata....
quindi avrete tutto il tempo di passare un buon natale :-D :oo: :-D :cincin:

vi faccio a tutti i miei auguri :x :cincin: :-D :oo:


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MessaggioInviato: mer 10 set, 2008 9:32 am 
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chesadafapecampà!
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attento!, potresti essere risucchiato a velocitá vertiginosa! ... certi buchi neri son particolarmente voraci!


:checcevoifa:

:-D

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Lo Zio Tazio

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MessaggioInviato: mer 10 set, 2008 9:52 am 
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Mr. Beer
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Località: Eifel
sono ancora qui :-o

peccato :-o

:-D :cincin: :-D :oo:


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Medaglia d' Oro 2009
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chesadafapecampà!
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Tennico del Bar

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