di Benny Casadei Lucchi
In Brasile già gli danno del travet e lo spettro Barrichello avanza Montezemolo: "Interessi del team prima di tutto e basta ipocrisie"
Perché un uomo cresciuto in Ferrari solo all’ultimo, quando tutti i danni possibili erano ormai stati combinati, ha fatto ciò che doveva fare? Cioè aiutare la squadra. Perché ha atteso tanto per agevolare il compagno prima guida nelle aspettative per talento e palmares e poi, soprattutto, prima guida anche in base ai risultati della pista e a quelle decine di punti in più rispetto al compagno? E ancora: perché Felipe, giovane costruito a Maranello, per cui cromosomicamente solidale con la cultura della squadra rampante, ha voluto a tutti i costi inguaiare la gente con cui lavora pur di alzare il piede in modo... come dire... un filo meno plateale?
Semplice: non ha pensato ai tifosi della Ferrari, ma a quelli brasiliani che sono razza a parte. Gente dal palato fine sia che viva nelle favelas che nelle ville milionarie o negli attici blindati di San Paolo. Fan appassionati cresciuti nel mito dei Fittipaldi, dei Piquet padre, soprattutto dei Senna zio. Gente che vive per riconoscersi nei propri eroi-simboli e che, come minimo, si prende la psoriasi non appena è costretta a riconoscersi in un gregario.
Intendiamoci: Felipe non è un gregario, non lo è nella testa e soprattutto non lo è nel piede. Piede pesante il suo, non quello di un Barrichello qualsiasi. Già, Rubinho, il brasilero, anzi il paulista come lui che l’ha preceduto a Maranello. Nasce qui il grande, tremendo dilemma del povero Felipe: perché il ragazzo sa benissimo che la F1, al di là di regole ipocrite, ha nel dna il concetto di squadra e che il team viene prima di tutto; tanto più in Ferrari, non solo una squadra ma una fede, una chiesa motoristica con la propria liturgia e milioni di fedeli sparsi per il mondo. Il problema suo è un altro, il problema è il Brasile. Per dire: Barrichello, a casa, più che un pilota è considerato una macchietta. Celebre il personaggio inventato per sfotterlo, “Rubinho Pedechinelo”. Una gag televisiva che per anni accompagnò le sue imprese ferrariste. “Pedechinelo” non è altro che un’irriverente storpiatura del cognome che allude alle pantofole: metafora di un uomo che nella vita non combina e non combinerà nulla se non parlare sempre a vanvera.
Ecco, Felipe ha pensato a tutto questo quando ha atteso troppo per fare ciò che qualsiasi pilota, vista la classifica del compagno, sa di dover fare. Voleva che fosse chiaro a tutti che si sarebbe sacrificato, a stento, ma l’avrebbe fatto. In questo modo, sbagliando, ha creduto che in patria sarebbero stati comprensivi. Un altro errore. Perché se i francesi dell’“Equipe” titolano «L’imbroglio Ferrari», se gli inglesi del “Sun” parlano di «F1? More like Fraud-ula 1» per dire e sottolineare che è stata una frode e che «la Ferrari ha trasformato la F1 in una barzeletta», noi italiani possiamo anche archiviare simili titoli nell’ampio file dei chissenefrega. Ma Felipe no. Non può e non potrà mandare giù quanto si è scatenanto sul web brasilero. L’hanno persino eletto «impiegato del mese» e, così, lo spettro di un nuovo pedechinelo è lì, a fare piripiri ai suoi pensieri.
Anche per questo l’intervento nel tardo pomeriggio di ieri del presidente della Rossa, Luca di Montezemolo, sa di difesa del team ma anche del pilota, come a dire che il ragazzo altro non poteva fare perché questo è. «Le polemiche non mi interessano - spiega infatti il patron maranelliano - Ribadisco solo quello che dico da sempre e che i nostri piloti sanno benissimo e a questo debbono attenersi: chi corre per la Ferrari sa che la squadra viene prima degli interessi personali». E poi: «Queste cose accadono dai tempi di Nuvolari e le ho vissute in prima persona da direttore sportivo ai tempi di Lauda e non solo... Basta quindi con certe ipocrisie anche se capisco che forse a qualcuno avrebbe fatto piacere vedere i nostri due piloti eliminarsi a vicenda: a me e ai nostri tifosi certamente no».
Vero. Perché per un Briatore che dà la propria solidarietà, «la F1 è uno sport di squadra», ci sono i commenti sibilanti di Horner, capo Red Bull, e quelli di ieri del pari grado McLaren, Whitmarsh. Il primo si era detto a caldo «choccato da quanto fatto dalla Ferrari», dimenticandosi che in Turchia aveva impartito ordini simili a Webber per favorire il pupillo Vettel, ordini disattesi dall’australiano con conseguente autoscontro. Non solo: in Inghilterra aveva persino tolto l’alettone magico sempre al canguro per darlo al pupillo in qualifica. Quanto a Whitmarsh, ha detto: «Esporrò il mio punto di vista in un incontro privato con la Ferrari... quanto al loro approccio, non mi pare una novità... i nostri piloti saranno sempre liberi di combattere».
Ma dai? Allora dimentica che, sempre in Turchia, il team disse più o meno a Hamilton (ma anche a Button, ndr) «Lewis, please, risparmia benzina» e Lewis «ma così Button si avvicina... e mi sorpasserà?», «no, non lo farà...». Ma dai?
_________________ Lo Zio Tazio
"Io vi daró tutto ... basta che non domandiate nulla!"
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