É da ieri che una immagine mi tormenta, che non mi lascia dormire in pace, che mi segue qualunque cosa faccia, anche in sogno.
Chissá che parlandone non riesca a metabolizzarla.
No, non é l' immagine di Marco travolto o riverso al suolo senza casco.
Queste sono immagini dure,
dure come la pietra,
ruvide come la carta vetrata,
sconvolgenti come un uppercut,
ma sono immagini cosí assurde e spaventose da sembrare lontane e irreali, tanto che la nostra mente le puó esorcizzare, sublimare.
Ma la mia mente non riesce a scacciare una immagine di dolore, una immagine che é la sintesi estrema del dolore per la morte di Marco, una immagine che trafigge il cuore come una spada di ghiaccio.
L' immagine della fidanzata di Marco che piange nel box col viso tra le mani.
Un' immagine silenziosa. Pochi fotogrammi in TV.
Un urlo sordo e muto di dolore e di disperazione assoluta e incommensurabile, che inutilmente cerca di rifiutare e respingere l' inevitabile.
Un pianto che non fora le orecchie ma il cuore, cosí disperato da passare gli oceani e penetrare in fondo all' anima.
Non riesco a togliermi dalla mente l' immagine di quelle mani sul viso e sulla bocca che sembrano quasi voler respingere il pianto in gola, soffocandolo e chiudendolo pudicamente dentro il petto,
perché é un dolore che non si puó né si vuole dividere con nessuno, che nessuno potrá mai dividere con noi perché mai capirá quanto sia fondo e nero quell' abisso di perdita e solitudine.
Non riesco a togliermi dalla mente l' immagine di una ragazza che torna in aereo verso casa col suo fidanzato chiuso in una bara nel compartimento bagagli della aereo.
Non riesco a togliermi dalla mente quelle lacrime amare e brucianti per un amore reciso dalla falce del destino.
Vorrei essere lí Malesia per stringerla al petto e consolarla, per asciugare il suo pianto,
ma non saprei cosa dirle,
e poi avrei paura che come in sogno la sua fragilitá si frantumasse silenziosamente tra le mie braccia in mille cristalli acuminati di dolore e disperazione.