bell'articolo di motocorse.com, che mi trova daccordo. che nn fosse un 1000cc, nè un 990cc, lo speravo.sempre che sia vero, ma questo lo scopriremo presto.
------------------ “Inutile cercare di battere la Honda facendo le cose come lei, bisogna trovare una strada alternativa”. Lo diceva Kenny Roberts tanti anni fa, alla vigilia della sua avventura nel motomondiale con la (sfortunata) 500 due tempi che, nel passaggio alla MotoGP, finì poi per diventare… una Honda, prima nel solo motore, poi in tutto. Una fine che l’impresa di Roberts non si meritava, ma che illustra molto bene quanto spazio sia rimasto per l’inventiva personale nella sfida alle case ufficiali.
Ma non è di questo che volevo parlare – darei per assodato che molto difficilmente, senza le risorse di una casa ufficiale, si può competere nella costruzione di un prototipo. Mi sembra più interessante notare l’andamento delle scelte strategiche attuali, e constatare che, almeno sotto un certo punto di vista mi sono sbagliato in una mia recente valutazione. O meglio, che probabilmente – in attesa di prove certe che probabilmente non verranno mai – qualcuno si è esibito in un gioco di prestigio, cercando di fare quello che le riesce meglio: fregare la Honda pensando diversamente. Almeno per quel che può.
A QUALUNQUE COSTO Partiamo da un assunto: se Honda mostra i muscoli, batterla sul suo terreno è praticamente impossibile. Quando il colosso di Tokyo ha deciso che l’era della 800 non si sarebbe potuta concludere senza aver conquistato almeno un titolo, ha messo in campo una determinazione e risorse spaventose, sotto la guida di uno Shuhei Nakamoto che non ha esitato a compiere sacrifici al limite dell’eclatante pur di vincere. Seguendo la stessa filosofia di Roberts, ma al contrario: se noi di Honda facciamo le cose come gli altri, le facciamo meglio.
L’operazione è partita con una campagna acquisti di risorse umane chiave, che conoscessero bene gli aspetti tecnici in cui gli avversari erano superiori (l’elettronica Yamaha, per dirne una). E’ proseguita gettando alle ortiche le sospensioni Showa – di proprietà Honda, per darvi un’idea del sacrificio – per passare alle Ohlins, che equipaggiavano le moto di tutti gli avversari. Via anche i freni Nissin (idem come sopra), avanti con Brembo. Così – è stata la conclusione di Nakamoto – restano solo le componenti che noi sappiamo fare meglio. I telai, a costo di provarne sei in gara, con Pedrosa, e i motori. Anche qui, spendendo tutto quello che serviva per mettere a punto quello che probabilmente è il propulsore più efficiente della maturità delle 800, a colpi di trasduttori di coppia sull’uscita cambio e soluzioni innovative come la trasmissione seamless.
IL FATTORE UMANO Così come a suo tempo fece Yamaha con l’ingaggio di Rossi, Honda ha proseguito assicurandosi il pilota che garantiva quella velocità pura (diciamo che l’affidabilità è stata una scommessa – vinta, ma pur sempre una scommessa) che restava un punto interrogativo per i piloti in forze al team ufficiale: Casey Stoner. Com’è andata nel 2011 non c’è bisogno di raccontarvelo; basti dire che, stanti le premesse, Nakamoto ha avuto ragione. Complice un cambio di regolamento imminente, Yamaha non ha forse investito a sufficienza sulle sue M1, mentre Ducati si è ritrovata impelagata in una situazione di cui ormai è stato detto e scritto tutto. Ma con ogni probabilità, mentre tutti ci concentravamo a far notare come avesse scelto di seguire una politica potenzialmente autolesionista, scegliendo il telaio a doppio trave, stava meditando l’ennesimo colpo di genio.
TELAIO, OK. MA IL MOTORE? Ho già ripetuto fino alla nausea le motivazioni – o meglio, la mia posizione in merito – per la scelta del telaio a doppio trave, unica soluzione che, stante il regolamento attuale, consentisse una competitività rapida e duratura anche a fronte di vincoli quali il monogomma e il limite di impiego dei motori, che lega le mani ai progettisti che vogliano usarlo come elemento portante nel telaio. Una scelta obbligata, di fatto. Ma la cosa non sembra aver frenato la tendenza al “pensiero laterale” dei ragazzi di Borgo Panigale, che – dalle prime voci – potrebbero aver tentato l’ennesimo colpaccio. Lavorando però sul motore…
Partiamo dal regolamento: per contenere i costi anche a fronte di un cambiamento della formula motoristica, la nuova MotoGP da 1000cc ha imposto un limite d’alesaggio vicino o coincidente con il valore massimo attualmente impiegato. L’idea è quella di consentire alle case di mantenere le testate già in uso sulle 800, facendo si che l’aumento di cilindrata venisse ottenuto con il solo aumento della corsa. Le potenze non cambiano granché, la coppia sotto si. D’altra parte, non cambiando il quantitativo di carburante a disposizione, sarebbe stato comunque difficile sfruttare in gara la maggior potenza ottenibile liberalizzando l’alesaggio. Allora, a cosa serve la coppia in più ai medi regimi, quando già sulle 800 le reazioni inconsulte delle moto dovevano essere tenute a bada dall’elettronica? A poco, verrebbe da dire. E qui sta la pensata che forse (lo ripeto, siamo nel campo delle ipotesi, pur confortate da diversi elementi) hanno fatto in Ducati: ma perché fare un mille?
COME IN PASSATO, SOLO CHE STAVOLTA… Già, perché un mille, quando tutti ammettono ormai apertamente che fino alla quarta non è possibile permettere la completa apertura degli iniettori, pena sprecare benzina e decimi preziosi in impennate e derapate? Non sarebbe più conveniente forse sacrificare qualche centimetro cubico, visto che la potenza in più si userebbe davvero solo su piste molto veloci e per pochissimo? I vantaggi starebbero nel consumo, in un motore più compatto (di poco, ma qui i millimetri contano…) e più facilmente riposizionabile nel telaio, in una potenziale maggior agilità dovuta a masse interne al motore più contenute (e sono masse che girano molto veloci, quindi con inerzie giroscopiche rilevanti, che comunque aumenterebbero in parte assieme al regime massimo) gli svantaggi… da nessuna parte.
Una pensata del genere l’aveva già fatta Yamaha a suo tempo, quando all’esordio in MotoGP iniziò con una cilindrata intermedia – si parla di 850cc – per la sua M1. Scelta disastrosa, perché le RC211V la facevano letteralmente a strisce. Allora le potenze non erano però così elevate, e soprattutto non c’erano i maledetti 21 litri che rendono puramente accademiche certe cavallerie massime. Stavolta l’idea potrebbe essere vincente.
MA CHI TE LO DICE? Lo ripeto ancora una volta: siamo nel campo delle ipotesi. Ipotesi che troverebbero però conferma in diversi indizi più o meno ufficiali. A partire da una foto che gira in rete, che mostra un display a LED molto facilmente associabile alla Desmosedici con un bel riferimento della zona rossa sui 18000 giri – ben più in alto di quanto potrebbe girare un 1000 con alesaggio da 81mm. Ma se la corsa scendesse abbastanza, diciamo per posizionare la cilindrata attorno ai 900cc… C’è un altro elemento. Pare che qualcuno dei team avversari, insospettiti dal rumore e dalla possibilità che a Bologna stessero tenendo le carte coperte (osservando gli intertempi, ne parliamo un'altra volta...), si siano dati pena di tirare fuori un registratore DAT ed un oscilloscopio. Niente di troppo sofisticato, state attenti – tutto già fatto ai tempi del primo 500 Big Bang Honda – ma sufficiente a calcolare il regime massimo di rotazione della Desmosedici, che stando a qualche voce non si dovrebbe discostare troppo da quel riferimento di cui sopra. Insomma, i sorrisi che secondo alcuni erano ingiustificati nel box Ducati avrebbero motivazioni un po’ più profonde rispetto al cronologico ufficiale.
Attendo i prossimi test. Questa stagione si fa di mese in mese più interessante… --------------------
_________________ il dolore è il preludio al cambiamento
la potenza è nulla senza controllo
Fucilali tutti e lascia che li giudichi Dio
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