L’australiano e il team di Rossi, al lavoro sulla Ducati
Forse è la suggestione del Natale, ma Jeremy Burgess in rosso fa una certa impressione. E il vederlo camminare lungo i corridoi e gli uffici di Ducati Corse in divisa d’ordinanza è un’immagine che prevale persino sulle parole, che sono state comunque importanti. Volevamo vedere, respirare, toccare, il Nuovo Corso – il suo, quello di Valentino Rossi, e di Filippo Preziosi – proprio nei giorni del primo contatto tra l’azienda e la nuova squadra, nei momenti del primo montaggio della Desmosedici GP11, nel periodo in cui si sta pianificando la grande sfida. Abbiamo visto gente tranquilla ma concentrata.
Abbiamo ascoltato discorsi lucidi e interessanti. E Jeremy Burgess, il capotecnico più titolato del mondo, è sempre pragmatico, intelligente, diretto e tagliante: «se sapessi che c’è qualcuno che pensa davvero che noi siamo a questo livello, mi verrebbe da pensare che costui è un po’ stupido» esordisce subito, ben sapendo che questo è un buon modo per affrontare il discorso sui primissimi giorni di prove di Valentino, che non sono andati come ci si aspettava. «Se ci si ferma alla tabella dei tempi, è vero che non siamo certo dove pensavamo di essere, e dove altri si aspettavano che saremmo stati. Io dico solo che noi lo sap piamo bene, che questa non è la nostra reale situazione. Solo che non potremo sapere a che punto siamo veramente fino a quando Valentino non sarà in grado di spingere».
Quindi non sei rimasto sorpreso dal modo in cui sono andati i test di Valencia?
«Un po’ si, però il punto non è questo: bisogna innanzitutto valutare le condizioni fisiche di Valentino. Perché è questo, che ha condizionato tutto. Valentino non avrebbe trovato tutte quelle difficoltà se fosse stato in condizioni fisiche migliori».
Nel box c’era una certa sorpresa.
«Siamo rimasti sorpresi, è vero, ma non preoccupati. Certo, quando abbiamo iniziato il lavoro con la Ducati, martedì mattina, eravamo legati ai tempi che Valentino aveva fatto nel week-end precedente. Di colpo i suoi cronologici sono cambiati: ci siamo ritrovati dal top al fondo in un attimo. Siamo partiti con molta calma, riguardo gli assetti, perché sapevamo che Valentino avrebbe dovuto fare molti giri e che quindi, fisicamente, doveva gestire le energie. Pensavamo che nella seconda giornata sarebbe stato più veloce, ma non è stato così perché le sue condizioni sono peggiorate velocemente».
Intervista esclusiva a Jeremy Burgess
Ma il problema sull’anteriore era reale?
«Sì, ma io non sono ancora convinto che la Ducati abbia un vero problema all’anteriore. Non penso che la moto abbia un guaio così serio che non si possa risolvere se non cambiando il progetto. Lo ripeto: credo che i problemi siano stati determinati più che altro dai limiti fisici di Valentino».
La Ducati ti è sembrata impegnativa?
«È diversa dalle giapponesi: è più dura nei cambi di direzione, ha caratteristiche diverse per quanto riguarda la maneggevolezza. Di sicuro questo non hanno aiutato Valentino: era già in crisi nelle ultime gare, figurarsi in che condizioni poteva essere martedì e mercoledì dopo la fine del campionato».
Ma la moto in questo momento non sembra avere un’assetto adatto a Valentino.
«È normale che serva un po’ di tempo per capire come reagisce e come va messa a punto. Credo che questo sia un progetto vincente, quindi che la moto sia buona. Lo dimostrano le gare di Stoner».
Però lui ha una guida particolare.
«Sì, però Casey avrebbe potuto vincere molte più gare quest’anno. E se a Valencia non avesse scelto una gomma troppo dura, avrebbe probabilmente dominato come ha fatto in Giappone e in Australia. Questo vuole dire che la moto ha chiuso la stagione alla grande».
Stoner è caduto molto e ha spesso dichiarato di non avere feeling con l’anteriore.
«Nella maggior parte dei casi ha commesso degli errori all’inizio della gara, mai alla fine: questo vuole dire che ha guidato con troppa foga, non che la moto lo ha tradito. Si è messo troppa pressione addosso nei primi sei o sette giri. È caduto per questo».
Dal punto di vista strategico, cioè come sviluppo della moto durante le tre prossime sessioni di prove invernali, hai già stabilito un piano con Valentino e Filippo?
«Sì, ma purtroppo non abbiamo un margine di manovra molto ampio. La situazione di Valentino ci obbliga a partire lentamente, con l’obiettivo di crescere gradatamente. Quindi in Malesia, ad inizio febbraio, dovremo raccogliere il maggior numero di dati possibile. Però più che tecnico, secondo me adesso il problema è umano: dobbiamo aspettare che la Natura faccia il proprio corso».
Cioè, che Valentino guarisca.
«Già, anche perché le moto si sviluppano sulla base dei giudizi che hanno un riscontro nella pratica e questo noi non lo possiamo ancora avere; parlo di quei giudizi da cui poi si comincia a cambiare un progetto, naturalmente. Fino a quando Valentino non sarà nelle condizioni fisiche necessarie per guidare come sa, quindi per capire realmente il comportamento della moto, non potremo avere questo tipo di giudizio».
In Ducati hanno già messo mano al progetto, dopo la due giorni di Valencia.
«Sì, ma non stanno stravolgendo la moto. Ed è giusto così, perché la situazione della Ducati alla fine del 2010 non si può nemmeno paragonare a quella della Yamaha alla fine del 2003. La Desmosedici è una moto che vince le gare, che lotta sempre per il podio. La Yamaha di quei tempi aveva ottenuto un solo podio in tutto l’anno, per il resto era sempre molto indietro».
Quindi pensi che basterà lavorare sulla messa a punto?
«Penso che risolveremo i problemi che troveremo sulla Ducati, così come abbiamo risolto quelli della Yamaha. Il mio unico rammarico, è che non possiamo accelerare il passo fino a quando Valentino non darà delle informazioni vere. Ma allo stesso tempo sono tranquillo perché possiamo permetterci di aspettare: la Ducati è una moto già competitiva. E so bene che dal momento in cui Valentino tornerà forte fisicamente, saremo in grado di fare ampi progressi velocemente ».
Che tipo di lavoro hai fatto, in questi giorni bolognesi?
«Mi sono avvicinato all’azienda, ai tecnici, e alla moto. Siamo nella fase in cui dobbiamo trovare un buon metodo di lavoro».
Che sensazioni hai provato stando con gli italiani?
«Buone, ma io sono abituato a lavorare e a frequentare gli italiani. A parte Valentino, io sono cresciuto con voi italiani, perché nella storia delle moto siete sempre stati protagonisti: come piloti, costruttori, manager, tecnici».
Intervista esclusiva a Jeremy Burgess
Pensi che dovrai cambiare il tuo modo di lavorare per seguire il metodo Ducati, oppure credi che dovrà accadere il contrario?
«Basterà trovarsi a metà strada. La gente che ho incontrato in azienda mi sembra entusiasta, ho visto molta determinazione. E mi sono sembrati tutti disposti a cambiare un pochino il loro modo di lavorare, anche perché si tratta di una nuova esperienza per tutti: possiamo tutti imparare qualcosa di nuovo, da questa avventura».
Se non porta entusiasmo Valentino!
«La Ducati vuole lavorare duramente per dargli quello di cui ha bisogno. Infatti girando per l’azienda e parlando con le persone che sono coinvolte in questo progetto, mi è sembrato di ritornare un po’ all’atmosfera che c’era in Yamaha sette anni fa».
In effetti c’è un collegamento, anche se la situazione è diversa.
«Sì, è un po’ diversa, però in fondo la Ducati ha proposto a Valentino una nuova sfida, che era ciò che lui stava cercando, e dopo lui ha chiesto a me e al mio gruppo di fare parte della nuova avventura. Quindi è tutto più o meno come sette anni fa: abbiamo una nuova moto, una nuova azienda con cui lavorare, una nuova sfida. Ma il livello di questa moto è più alto e noi abbiamo una notevole esperienza in più».
La Desmosedici è nota per essere complicata non solo nella guida, ma anche nel montaggio e smontaggio.
«L’ho già riscontrato, ma non è un dramma. Bisogna solo lavorare un po’ di più, e in un modo diverso. È questione di abitudine».
Si dice che a Valencia, al termine delle prime giornate di prove di Valentino, i meccanici fossero un po’ scioccati da tutto il lavoro che bisogna fare sulla Ducati rispetto alle moto giapponesi.
«Io non sono rimasto scioccato. La Ducati è diversa, certo, ed è più complicata, ma quello che conta è che non c’è nulla che limiti la qualità del pilota».
È vera la leggenda dei tanti, piccoli, pezzi della Desmosedici?
«Mi sa che è vera... Ma il fatto che questa moto abbia tanti pezzi piccoli, che sia più laboriosa nella fase di assemblaggio, non deriva da un progetto sbagliato ma solo dal fatto che la Ducati è giovane in fatto di gran premi. Corre da pochi anni, quindi ancora non è arrivata alla fase di semplificazione del lavoro nel box; quel punto che invece hanno raggiunto Honda e Yamaha perché loro fanno i gran premi da trenta o quaranta anni».
Quindi la Ducati deve crescere anche da questo punto?
«Il “packaging” della moto può essere migliorato, ma ci arriveremo. Del resto, abbiamo avuto problemi simili anche quando siamo arrivati in Yamaha, sette anni fa. Anche perché venivamo dalla Honda...».
Che in certe cose è molto avanti, vero?
«Eh si, è vero, ma abbiamo ottimizzato anche l’assemblaggio della Yamaha, quindi è aumentata anche la cura dei particolari. E se lo abbiamo fatto con la Yamaha, possiamo fare la stessa cosa con la Ducati».
In Ducati sperano che facciate lo stesso anche riguardo la sfruttabilità della moto.
«Il mio obiettivo è sempre stato quello di creare una moto che ogni pilota può portare al limite della sua abilità La Yamaha adesso è veramente così, e il merito ovviamente è di Valentino. Lui adesso può fare lo stesso lavoro, e noi possiamo aiutarlo di nuovo».
Stoner sulla Honda ufficiale fa paura?
«Non sono sorpreso per il modo in cui ha guidato nei test di Valencia. Il suo problema non è andare veloce, infatti è probabilmente il pilota più veloce del mondo. Come abbiamo visto anche nel campionato 2010, per ottenere certi risultati bisogna anche essere costanti: Casey non è stato in grado di stare davanti a Valentino, in campionato, nonostante lui abbia partecipato a tutte le gare mentre Valentino ne ha saltate quattro e in molte altre ha sofferto per la spalla. Stoner è quello che ha guidato in maniera splendida in Giappone o in Australia, ma anche quello che in Malesia è andato fuori al primo giro, quando non era necessario tirare in quel modo».
È opinione comune che Stoner, con la Honda, si sia rafforzato.
«Non è su una Honda ufficiale per caso. La Honda non vince da diverso tempo e sta concretizzando una serie di grandi investimenti sia sulla moto che riguardo l’organizzazione. Tra un anno si entrerà in una nuova era ed è chiaro che la Honda vuole essere protagonista sin dall’inizio. E parlando del 2011, la loro moto sembra veramente competitiva».
La Yamaha si è indebolita?
«Beh, è sotto gli occhi di tutti: ha perso Valentino, ha perso me e il mio gruppo, e due anni fa aveva già perso importanti ingegneri esperti di elettronica».
Dovrebbe preoccuparsi, la Yamaha?
«Per l’immediato, no. Ha Lorenzo, che è giovane e molto forte, e per il prossimo anno ha una moto molto buona. Poi, per il futuro, vedremo come Lorenzo svilupperà la “mille”. In ogni caso, io penso che lo sport sia fatto di cicli: un progetto nasce e va al top, poi comincia a calare. La Yamaha ha avuto un ciclo molto buono, dal 2004 ad oggi, quindi vedremo per quanto resterà ancora a questi livelli. Penso che la Yamaha nel 2011 sarà molto forte, ma penso che lo sarà anche la Honda; e secondo me sarà forte anche la Ducati...».
Valentino in febbraio compirà 32 anni: secondo te, che armi dovrà usare per tenere testa ai giovani scatenati?
«Il cervello, perché è importante: Valentino può usare la sua esperienza, il bagaglio di conoscenza che ha accumulato in tanti anni di vittorie, e naturalmente il suo modo di mettere a punto una moto. Per almeno un paio d’anni, forse anche di più, Valentino potrà ancora inventare qualcosa di nuovo, perché lui sente molto la carica che proviene da questa nuova sfida».
Ovviamente, tu non hai alcun timore per questa sua scelta?
«Valentino sa valutare la sua condizione e quella degli altri. È lui che ha voluto questa sfida: se ha preso questa decisione è perché ha fatto delle valutazioni lunghe e molto attente. Come del resto ha sempre fatto nella sua carriera».
Hai visto spesso, Valentino, nei giorni trascorsi in Italia?
«Sì, abbastanza. Siamo stati insieme anche a cena. Abbiamo parlato e scherzato molto. Come al solito».
Come l’hai trovato?
«Un po’ dolorante, perché sta facendo fronte all’infortunio peggiore della sua carriera. E poi non può riposarsi come stanno facendo gli altri piloti. Però l’ho visto molto bene come morale: lo spirito è intatto, quindi non sono per niente preoccupato».
Enrico Borghi