Vale racconta i motivi del divorzio e le speranze riposte nel matrimonio con la Yamaha
«La Ducati deve ascoltare i piloti e badare meno al computer». Il rapporto con Lorenzo è buono: faremo un grande team INDIANAPOLIS - Cambiato, pieno di dubbi, con i piedi per terra e una sola certezza: il divorzio con la Ducati era inevitabile. «Abbiamo faticato troppo. Essere vincenti era ormai impossibile. A questo punto della mia carriera volevo solo essere di nuovo felice quando arrivo in pista e divertirmi quando guido». La verità di Valentino Rossi è semplice e con semplicità - e un'insolita franchezza nel mostrare le proprie debolezze - l'ha raccontata ieri a Indy. «Mi spiace molto. Questo epilogo è un peccato per tutti, soprattutto per chi ha lavorato tanto con me». Non c'erano proprio più margini per rimediare? «La differenza la fanno i risultati. Usate le parole che volete: fallimento, umiliazione. Non posso oppormi. La verità è che non sono mai andato veloce».
Questo era chiaro già a fine 2011. Perché non chiudere allora? «Purtroppo non era possibile».
Quando lei arrivò in Ducati disse che i problemi dipendevano dal mancato sviluppo della moto nell'era Stoner. Un anno e mezzo dopo ritiene sia sempre colpa di Casey? «Mai detto questo. Semplicemente avevo detto che Stoner era velocissimo e questo a loro bastava. La sua velocità è stato il mio problema».
L'ingresso di Audi in Ducati, a quanto pare, non l'ha convinta. «Non si può dire no a cuor leggero all'Audi: aveva anche un programma a lungo termine per me dopo le moto, nei rally. Ma cercavo una moto più competitiva per la parte finale della carriera».
Si dice che in Yamaha guadagnerà molto meno (pare un quarto degli attuali 25 milioni nel biennio). Conferma? «Volete la cifra esatta? È un calcolo complicato...».
Si dice anche che lei porterà uno sponsor e che lei e Lorenzo avrete due team separati. «Cavolate. Il team sarà lo stesso, magari con differenti sponsor personali. Alla Yamaha non ho chiesto niente. Anche dopo il 2010 abbiamo mantenuto buoni rapporti: so che mi darà la moto e i materiali migliori possibili».
Però ritroverà Lorenzo come compagno. «Sarà interessante. La situazione è molto diversa dal triennio 2008/10: ora lui è il numero 1 del team».
I fallimenti l'hanno resa molto umile. «Non avere umiltà dopo due stagioni così sarebbe stupido. Sono sincero: non so come andrò, sarà una sorpresa anche per me scoprire a che livello sono. Dovrò lavorare molto su di me».
Il periodo in Ducati ha incrinato le sue certezze? «A questo domanda di solito gli sportivi dicono no. Io invece dico che incrinano molto. Non è sempre vero che nelle difficoltà ci si sente più forti...».
In passato con Lorenzo la convivenza fu difficilissima. «Ma ora le relazioni sono buone. Ci rispettiamo. Insieme saremo un gran team». Dica la verità: a parti invertite, avrebbe accettato Lorenzo in squadra? «Devo dire che lui è stato molto corretto con me, non ha mai posto ostacoli al mio arrivo. Adesso è un'altra storia: quando arrivò lui nel 2008 io mi sentivo il numero uno della Yamaha, ero lì da un po' e l'avevo trasformata nella moto migliore. Oggi non ci saranno problemi».
Dunque nessun muro nel box come allora? «No. Saremo vicini, se lui è d'accordo...». (Lorenzo, sul tema, ha assicurato: «Niente muro, è un'idea stupida»).
La sua squadra verrà con lei? «Penso di sì. Magari non tutta. Definiremo anche questo».
Poi passerà in Superbike? «Dipenderà dai risultati. Io voglio continuare in MotoGp anche dopo il 2014, ma se vedrò che il mio livello è ancora il quinto/sesto posto, allora farò altro».
Eventualmente già l'anno prossimo? «Quello no. Il progetto è di due anni. Forse il primo mi servirà per riadattarmi».
Dunque non pensa al decimo titolo mondiale? «È un sogno, ma parlarne ora mi sembra prematuro. Prima devo capire se sono ancora capace di guidare, di essere veloce, di lottare per il podio, per la prima fila...».
Potrebbe non accadere? «Nessuno lo sa. Neanch'io. Ma sono contento di avere un'altra chance».
Nel 2004 il suo passaggio da Honda a Yamaha, e i successivi trionfi, dimostrarono che l'uomo è superiore alla macchina e il pilota può vincere anche con una moto inferiore. Ora proprio lei pare confutare quella teoria... «Vero, ma la moto oggi conta molto più di otto anni fa. E poi allora la Yamaha era inferiore alla Honda ma riuscivo a guidarla bene, qui invece non ce l'ho mai fatta».
Anche l'età ha inciso? «All'epoca avevo 25 anni, ero al top della forma e lottavo contro altri piloti. Ora è più dura: ho 33 anni e lotto contro piloti giovani e forti. Non dimenticatevi che io ho vissuto già due volte. Nella prima parte della carriera ho vinto cinque titoli di fila. Nella seconda ne ho vinti due dopo aver perso... Adesso inizia la terza».
A fine campionato mancano ancora 8 gare. Come sarà da separati in casa? «Dobbiamo lavorare seriamente, come sempre. Tenere alte le motivazioni comunque».
Al suo successore in Ducati (sarà Dovizioso, manca solo l'ufficializzazione) che consiglio darebbe? «Secondo me bisognerebbe dare più consigli alla Ducati».
Uno su tutti? «Invece di credere al 100 per cento a quello che c'è scritto sul computer bisognerebbe ascoltare di più ciò che dicono i piloti».
Alessandro Pasini17 agosto 2012 | 11:09
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